martedì 28 marzo 2017

Sophie Calle: un voyerismo intimo

Incapace di cogliere la morte
Monique voleva vedere il mare per l’ultima volta.
Martedì 31 gennaio siamo andate a Cabourg. L’ultimo viaggio.
L’indomani, “per andarmene con i piedi in ordine”: l’ultima pedicure.
Ha letto Ravel di Jean Echenoz. L’ultimo libro.
Un uomo che stimava da molto tempo è venuto a trovarla al suo capezzale. L’ultimo incontro.
Ha organizzato le esequie: l’ultima festa.
Ultimi preparativi: ha scelto il vestito per il funerale blu scuro con dei motivi bianchi, una fotografia in cui fa una smorfia da mettere sulla lapide e l’epitaffio: Mi sto già annoiando!
Ha scritto un’ultima poesia per la cerimonia di sepoltura.
Ha voluto il cimitero di Montparnasse come ultimo domicilio. Non voleva morire.
Ha detto che per la prima volta in vita sua non era impaziente. Ha pianto per l’ultima volta.
Nei giorni precedenti la sua morte, continuava a ripetere: “È strano. È stupido”.
Ha ascoltato il Concerto per clarinetto in La maggiore, K 622 di Mozart. Per l’ultima volta.
Il suo ultimo desiderio: andarsene accompagnata dalla musica.
Le sue ultime volontà: “Ne vous faites pas de souci” (“Non preoccupatevi”).
“Souci”... è stata la sua ultima parola.
Il 15 marzo 2006, alle 15.00, l’ultimo sorriso.
L’ultimo respiro, tra le 15.02 e le 15.13. Inafferrabile.

(incisione su porcellana in occasione della mostra MAdRE di Sophie Calle 
presso il castello di Rivoli).

Sophie Calle è una fotografa, scrittrice e performer francese, nata a Parigi nel 1953. Dopo un viaggio intrapreso tra il 1973 e il 1978, quando rientra in Francia, rendendosi conto della sua solitudine, rendendosi conto che voleva fare la fotografa, ha trasformato la sua vita in un’opera d’arte. La sua abilità nell’unire, nel creare un rapporto, tra fotografie e testi scritti (afferma di aver preso spunto da Duane Michals, il primo artista che utilizzava il testo e l'immagine da lei conosciuto), oggetti, video e performance, fanno di lei un’artista completa, profonda e straordinaria. La vita personale, spesso quella più intima (tanto da farla sembrare un’esibizionista), la sparizione e l’assenza di persone e oggetti, ma la cui esistenza è provata da fotografie e tracce nella memoria e nell’ambiente, la sua curiosità (lei è una sorta di voyeur con lo scopo di scoprirsi attraverso gli altri, per poter osservare da vicino la gente e i suoi effetti personali) sono tutti elementi primari per le sue opere.
Con una lunga carriera alle spalle, a parer mio, il momento artistico più intenso e struggente lo raggiunge con “Voir la mer” (2011) e “Rachel, Monique” (2006-2014). La prima opera è una videoinstallazione, è il racconto di alcune persone di Istambul che pur vivendo in una città di mare, per motivi di vario genere, non l’hanno mai visto e allora la Calle riesce a cogliere tutto lo stupore, lo stordimento, la felicità, tutti i sentimenti di queste persone che per la prima volta nella vita vedono una simile meraviglia della natura. E lei li cattura nell’istante in cui si girano verso di lei dopo aver volto lo sguardo al blu infinito ed all’incessante movimento delle onde. Solo i loro occhi parleranno ma in quegli sguardi si percepirà ogni cosa, ogni sensazione. Non serviranno parole. “A Istanbul, una città circondata dal mare, ho incontrato persone che non l’avevano mai visto. Li ho portati sulla costa del Mar Nero. Sono venuti a bordo dell’acqua, separatamente, gli occhi bassi, chiusi, o mascherati. Ero dietro di loro. Ho chiesto loro di guardare verso il mare e poi tornare indietro verso di me per farmi vedere questi occhi che avevano appena visto il mare per la prima volta”.
L’opera “Rachel, Monique” è un concentrato di sentimenti ed emozioni, in cui troviamo fotografie, scritte, oggetti, video. Un’opera composta e completa che parte nel 2007 quando, alla Biennale di Venezia, viene proiettato il video che Sophie Calle registra mentre la madre sta morendo. Possiamo quindi affermare che l’opera incomincia nel 2006 e nel tempo si è evoluta, arricchita, ingrandita, migliorata, rendendola unica. “Mia madre amava essere oggetto di discussione. La sua vita non compariva nel mio lavoro e questo la contrariava. Quando collocai la mia macchina fotografica ai piedi del suo letto di morte - volevo essere presente per udire le sue ultime parole ed ero intimorita che potesse morire in mia assenza - esclamò: Finalmente!”. Dal 2006 fino al 2014 l’autrice percorre un viaggio in cui la madre (Monique) pur essendo un’assenza, è presente (molto più di quando non fosse da viva) attraverso le tracce che ha lasciato di se. I suoi diari, le sue fotografie, i suoi oggetti. E’ presente attraverso quelle parole scritte che parlano di desideri, di sentimenti intimi. Gioie, dolori, paure, confessioni, decisioni da prendere… tutta una vita scritta in quelle pagine che, con una performance lunga 22 ore, Sophie Calle legge nel 2012 nella Chiesa di Avignon. Il percorso in compagnia di Monique finisce con un viaggio al Polo Nord. Viaggio tanto desiderato ma mai intrapreso da Monique. Così Sophie esaudisce quest’ultimo desiderio seppellendo, sotto la coltre ghiacciata, una fotografia, una collana ed un anello della madre.
Nella doppia mostra svoltasi al Castello di Rivoli (Torino) sfruttando l’identica pronuncia dei due termini francesi mer e mère (mare e madre) la Calle crea un dialogo tra le due opere (distinte ma unite, diverse eppure correlabili) dando vita ad una profonda riflessione riguardante l’analogia tra il mare e la figura materna, entrambi donatori di vita e entrambi immensi l’uno negli spazi, l’altro nei sentimenti.

“Voir la mer” (2011) 

“Voir la mer” (2011) 

“Rachel, Monique” (2006-2014)    

“Rachel, Monique” (2006-2014)    

“Rachel, Monique” (2006-2014)    

“Rachel, Monique” (2006-2014)    

“Rachel, Monique”
(2006-2014)
    


Da sempre autrice controversa, fin dall’inizio della sua carriera ha lavorato utilizzando metodi provocatori e spesso oggetto di discussione. Basti pensare ad opere in cui è molto forte l’impronta autobiografica e l’attitudine a spiare nella vita degli altri, opere in cui fotografa camere d’albero o persone che, da lei inseguite, camminano in città. Interessante l’opera “Abbi cura di te” (2007). Dopo essere stata lasciata mediante una mail che finisce proprio con le parole “prenez soin de vous” decide di farne una performance (presentata alla Biennale di Venezia), come nel suo stile, dedicata a raccontare come finisce un amore. Viene proiettato un video in cui molte donne (famose e non famose, di diverse professioni ed età) delle 107 a cui è stata mandata copia della mail di addio, interpretano a modo loro, e secondo il loro vissuto, questa lettera. Alla frase “abbi cura di te” ognuna reagisce e risponde in modo diverso. Molto interessante il libro che è stato pubblicato a riguardo.

Suite vénitienne

The hotel series

1 commento:

  1. Leggendo di Sophie Calle e della sua arte, le prime due cose che mi hanno portata a volerne scoprire di più, che mi hanno fatto venire la curiosità e la voglia d’interessarmi a lei, sono lo pseudonimo della madre Monique (il cui vero nome era Rachel Sindler) e la frase “15 marzo 2006. Oggi mia madre è morta. Di me non lo dirà nessuno. Fine.” Frase scritta dalla stessa autrice in occasione della mostra MAdRE presso il castello di Rivoli, forse ad indicare il suo senso di solitudine. Ho trovato molto di me stessa, molto di autobiografico, in quel “di me non lo dirà nessuno” e poi il nome della madre (il mio nome, solo in francese)... e per questa ragione mi sono appassionata, in modo particolare...

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