sabato 14 ottobre 2017

Francesca Woodman... Enigmatica ed inquieta. Fragile e tormentata.


C'è una donna (tra le molte) che ha un ruolo importante in fotografia. Si tratta di Francesca Woodman. Nasce a Denver il 3 aprile 1958 e muore suicida a New York il 19 gennaio 1981... Bella. Enigmatica ed inquieta. Fragile e tormentata. Benchè breve, la sua vita artistica è stata intensa. Da sempre ha vissuto in un ambiente ricco di stimoli artistici essendo il padre un pittore e la madre una ceramista. Viaggia: parte da Denver per muoversi tra Firenze, Andover, la Provenza, Roma ed infine New York. La sua ultima meta. Studia alla Abbot Accademy e frequenta la Rhode Island School of Design. Già da adolescente si avvicina alla fotografia e da allora ha iniziato ad utilizzare questo strumento come mezzo atto non a documentare la realtà ma per esplorare gli aspetti interiori di se stessa. Fotografia che diventa specchio delle sue emozioni. Le sue opere, in bianco e nero, sono autoritratti introspettivi, onirici, simbolici, surreali, metafisici, evocativi, intimi, malinconici e delicati. Le ambientazioni, quasi sempre interni di una stanza fatiscente (vari anche gli scatti ambientati in mezzo alla natura), sono essenziali e desolati, poche o assenti le suppellettili. Fondamentale la luce, sempre quella naturale. Locali quasi completamente vuoti ed abbandonati. Dimenticati, ma con la sua presenza riscoperti. Un po’ come ricordi che parlano dell’esistenza e della storia di una persona. In fondo che cos’è la fotografia se non una forma di memoria, un espediente “visivo-narrativo” per dare concretezza ad un pensiero? Il suo corpo, spesso completamente nudo, subisce metamorfosi e si confonde con ciò che lo circonda. Lo rende camaleontico, difficilmente visibile. Ma sempre presente, tracciabile. Corpo fragile, indifeso. Corpo leggero e volteggiante. Corpo pesante. Corpo quasi in volo o disteso sul pavimento. Corpo raggomitolato. A volte indossa vestiti (lunghi abiti neri, camice bianche, scarpe). Il volto coperto, sfuocato o tagliato dall’inquadratura, in molti dei suoi autoritratti. Capelli sciolti o dolcemente raccolti. Vari oggetti. Mobili. Sedie. Porte e finestre. Muri. Calcinacci. Cocci. Animali. Teche. Reggicalze. Mollette. Il cavo per l’autoscatto. Ombre. Una calla. Specchi. Questa fotografa usa l’autoritratto e lo specchio non perché affetta da narcisismo, non per vanità, ma perché, diventando lei stessa la protagonista principale, il soggetto-oggetto del suo linguaggio monocromatico, vuole auto-analizzarsi. Conoscersi. Indagare la sua anima, il suo Io, la sua identità e le sue emozioni profonde, le sue paure. Quelle che la tormentano. Quelle dalle quali vorrebbe liberarsi e guarirsi. Dicevamo fondamentale, nel suo processo creativo, la luce, lo studio della scena e l’inquadratura. Usava in gran parte esposizioni lunghe oppure la doppia esposizione. Importante lo sfuocato ed il mosso. Molte delle foto sono di piccole dimensioni e di formato quadrato che ben descrive la sua ricerca introspettiva. In effetti, il quadrato è una forma equilibrata e permette di concentrarsi sul soggetto, essendo stabile per l’occhio. Lo stesso soggetto, ripreso su formati dalle proporzioni differenti, assumerà diversi significati ed una diversa forza espressiva. Il quadrato ci colpisce, cattura la nostra attenzione. Evidenzia quello che viene messo in primo piano ma esalta anche lo sfondo. Sfugge alle regole di composizione, in particolare la regola dei terzi, mentre sembrano essere importanti alcuni elementi che sono: la semplicità, la forma e lo spazio. Necessari e da rispettare sempre, sono ancor più importanti in questo caso. Il quadrato poiché simmetrico ci trasmette staticità ossia calma. Ma se inseriamo soggetti in movimento li accentua. Ed è quello che accade nelle fotografie di quest’arista. Un esempio è dato dall’opera dal titolo "Self-deceit #1". Letteralmente la traduzione vuol dire autoinganno, illusione. E’ stata scattata durante il suo soggiorno a Roma nel 1978. Un sottile bordo bianco a far da cornice. A destra l’immagine è semplice: il muro grezzo ed il pavimento, dove si vede un’ombra scura. Guardando a sinistra lo spettatore resta incuriosito perché dietro l’angolo del muro s’intravede una parte della stanza che è buia e da qui, a carponi, sbuca lei, con fare felino. La sua figura è lievemente mossa. Non si vedono le gambe, che s’intuisce siano piegate. E in parte in penombra ed in parte alla luce che colpisce il centro dell’immagine dove è posizionato un vecchio specchio rotto addossato al muro. E’ nuda, i capelli raccolti con una treccia. Il volto è girato e si mostra allo spettatore solo attraverso la figura riflessa. Attraverso lo specchio vediamo una parte delle dita della mano destra riconoscibile, anche se un po’ distorta, dall’anello che indossa nell’indice. E poi la spalla, il braccio sinistro ed il suo viso che non è nitido, ma comunque ben visibile. Gli occhi socchiusi sono rivolti verso il basso. Sempre attraverso lo specchio s’intravede parte della stanza che è ben illuminata. Si scorge la presenza di una sedia e di un muro bianco. Soggetto simile lo troviamo in un’altra fotografia senza titolo "Untitled" scattata a Providence nel 1976. Anche qui, al centro, uno specchio ed il riflesso della protagonista. L’inquadratura riprende lo specchio posato sul pavimento con la parte riflettente rivolta verso l’alto. E’ incorniciato da un bordo di legno su cui si vedono i segni del tempo. Un angolo è coperto da una spessa coperta in lana. Anche il pavimento è in legno e vi sono posati, un po’ in disparte, un cucchiaino piegato, il gancio di una gruccia, polvere e frammenti; si intravede lo spigolo di un pannello bianco, non si capisce cos’è. Il muro retrostante, che fa da sfondo, è bianco e rovinato. Scorgiamo il bordo di un vestito appeso che si riflette sullo specchio dove in ginocchio c’è lei. Le gambe bianche sono lievemente aperte. Si muove e pertanto il suo corpo e il suo volto non sono definiti. Ma grazie alla doppia esposizione il suo riflesso è più nitido. La si vede rovesciata, dal basso, dove la sua mano aperta le copre il pube. Lei si vede e non si vede, scompare e riappare… immagine eterea, impalpabile. Una presenza. Come il suo, nostro inconscio. Luogo dove tutto c’è ma è oscuro e non si vede facilmente…

Post collegato con la tematica dello specchio.

Untitled  Providence Rhode Island
(1976)

Self deceit #1  Roma (1978)

From Space (1976) 

Self portrait. Untitled (1977-1978)







domenica 8 ottobre 2017

La finestra nell'arte: funzione e significato. Un breve spunto di riflessione.

Un elemento affascinante - sia in fotografia che in pittura - è la finestra. Molto brevemente ho provato ad analizzarne la funzione (senza voler fare una trattazione tecnica) ed il significato. Ecco qualche spunto di riflessione... ma le immagini parleranno da sole. Innanzitutto può rappresentare una fonte di luce naturale, dipendente dalle caratteristiche della finestra, che generalmente è direzionale. Luce che varia al variare delle ore della giornata e delle condizioni atmosferiche e pertanto cambiano l’intensità e la creazione delle forme e delle ombre, queste ultime solitamente morbide, seppur precise. Molte e variabili le suggestioni poiché diverso sarà l’effetto se fuori è nuvoloso, soleggiato, se è mattino, mezzogiorno oppure il tramonto… Ma la finestra ha un’altra funzione che è quella di delimitare gli spazi, è un elemento scenico. Può essere sfondo, soglia, cornice, filtro, rappresentando e definendo il punto di vista. Poiché fisicamente rappresenta un varco in un muro serve anche per mettere in comunicazione il mondo interno e quello esterno. Può rappresentare una possibile via di fuga oppure un limite più o meno invalicabile. Tale relazione è dipendente dal grado di apertura: socchiusa, aperta, spalancata, chiusa, sbarrata, oscurata, rotta. Per queste sue caratteristiche è un oggetto ambiguo, duplice: si apre e si chiude, unisce e separa, permette di vedere e di essere visti ma anche nascondere e nascondersi. Inoltre il suo significato - se ci allontaniamo dalla definizione reale - assume un valore metaforico e diventa un concetto psicologico che indica un atteggiamento. La finestra può essere il soggetto principale del dipinto e della fotografia come anche le persone, gli oggetti e l’ambiente che si vedono attraverso essa, in una direzione o nell’altra (ossia da dentro o da fuori), nel suo aspetto più o meno formale, usando la realtà ed i suoi elementi, per superarla. La funzione ed il significato variano nel corso della storia; qui di seguito qualche esempio, non certo esaustivo.

Finestre: “confine tra l’interno, quello che pensiamo, quello che vediamo, quello che possiamo vedere, quello che dobbiamo vedere e quello che vediamo nella realtà e che determina un’osservazione comune, cioè tra il nostro mondo interno e l’osservazione del mondo. Questo punto di equilibrio io penso di averlo identificato con l'inquadratura” (Luigi Ghiri).

Le finestre dei grandi fotografi:

Joseph Nicéphore Niépce
(1826-1827)
W.H. Fox Talbot Finestra (1835)

Edward Steichen
West 86th Street NY (1922)

André Kertész
Bistro - Paris (1930)

Brassaï
Concierge - Paris  (1946)

Ferruccio Ferroni
La finestra di Lidia (1952)

Bill Brandt
London Child photo (1955)

Josef Sunden
Febbraio (da la finestra del mio studio)
(1959)

Ormond Gigli
New York City (Models in Windows)
(1960)

Luigi Ghiri
Modena (1973)

Francesca Woodman
House #3, Providence, Rhode Island
(1976)
Sally Mann
Remembered Light
Untitled (Window with Helmets) (2012)

Gregory Crewdson
The disturbance (2014)



Le finestre dei grandi pittori:

Lorenzo di Credi
Annunciazione (1480-1485)
Albrecht Dürer
Autoritratto con paesaggio (1498) 
Caravaggio
La vocazione di San Matteo (1599-1600)

Jan Vermeer
Donna che legge una lettera
davanti alla finestra (1657)

Pieter de Hooch
Donna che sbuccia delle mele
(1663)

Caspar David Friedrich
Donna alla finestra (1822)
Berthe Morisot
La sorella dell'artista alla finestra
(1869)
Edvard Munch
Bacio alla finestra (1892)

Salvador Dalì
Ragazza alla finestra (1925)

Edward Hopper
Room in New York (1932)

René Magritte
La condizione umana (1933) 

Andrew Wyeth
Vento dal mare (1947)

Edward Hopper
Morning Sun (1952)