domenica 23 dicembre 2018

Notti insonni

Pensieri. 
Compagni di notti insonni e di una dimensione senza tempo dove cortocircuiti emozionali prendono il sopravvento.
(Monica Mazzolini, 22 dicembre 2018)

venerdì 14 dicembre 2018

"Ascoltando la tua presenza"

Nel silenzio della notte, quando tutto è sopito ed i pensieri prendono incontrollabili il sopravvento, sento dolorosa la tua lontananza. Lontananza, non assenza. Ascolto il ritmo del mio respiro e percepisco il tuo. Una vibrazione per simpatia. E poi arriva l'alba e con il giorno finalmente il suono rassicurante della tua voce. Fino al prossimo incontro. (Monica Mazzolini - 13 dicembre 2018)

mercoledì 14 novembre 2018

Riflessione osservando un murales...

A volte tutto sembra esser fuori-fuoco, si fatica ad essere razionali, cortocircuiti emozionali prendono il sopravvento a causa di vecchie ferite, che ritornano quando meno te lo aspetti. Crepe, su quello che apparentemente sembra essere un solido muro. Protezione che ci siamo costruiti mattone su mattone. Dolore dopo dolore. Lacrima dopo lacrima. Un involucro talvolta troppo fragile. E allora può bastare il nome di una persona mai conosciuta ma che, silenziosamente presente, si insinua nella nostra vita come l'acqua che goccia dopo goccia, lentamente, vince sulla pietra. Come quella crepa strutturale che seppur piccola può essere insidiosa...
(Monica Mazzolini - Novembre 2018)



venerdì 28 settembre 2018

Pensieri (inediti) in libertà...

La vita è un fenomeno deterministico ma talvolta subentrano variabili aleatorie. Talvolta siamo come dadi lanciati in aria e non riusciamo a controllare le nostre emozioni, le nostre reazioni... A volte succede. A volte basta poco. Un gesto. Una parola. Un nome.

mercoledì 12 settembre 2018

venerdì 7 settembre 2018

Poesia: "A volte è necessario morire"

A volte è necessario morire per poi rinascere. A volte l'assenza fa sentire meno soli della compagnia. A volte il senso d'inadeguatezza diventa determinazione e forza, fino a trasformarsi in dignità. A volte la delusione fa perdere la fiducia ma la speranza è una dea infaticabile. A volte la luce si spegne ma basta riaccenderla. E la scelta migliore non è quella artificiale di una lampadina, fredda e provvisoria, ma quella del sole e della luna che nel loro rincorrersi non si spengono mai. A volte ci rompiamo in tanti pezzi come fragile porcellana ma poi, usando la colla migliore, possiamo con tanta pazienza ed un meticoloso lavoro, ricomporre i cocci. Certo, si vedranno le giunture e qualche piccola scheggia andrà persa, talvolta il pezzo mancante sarà grande, ma saremo quasi come nuovi. E dopo la rinascita è bello ricominciare a crescere.

(Monica Mazzolini, 6 settembre 2018)

sabato 30 giugno 2018

Senza titolo (poesia inedita)

Le cerco visibili sulla mia pelle.
Segni solo all'apparenza muti.
Non sempre le trovo così in superficie.
Invisibili tatuaggi sull'anima.
Maestre di vita le cicatrici.

(Monica Mazzolini, 30 giugno 2018)

venerdì 22 giugno 2018

Senza titolo (poesia inedita)

Mi piace la pioggia perché nasconde le mie lacrime. 
Il vento perché il suo grido nasconde il mio. 
La neve, perché è silenziosa e mi permette di guardare, voltandomi indietro, le orme dei miei passi, quelli buoni e quelli in cui ho inciampato, ma se guardo avanti non ci sono tracce e posso scegliere la strada da percorrere. 
Però mi piace anche il sole perché, nonostante la pioggia, il vento, la neve, il sole rappresenta la vita. 

(Monica Mazzolini, 22 giugno 2018)

martedì 12 giugno 2018

Giochiamo con l'arte... capitolo 3

... indovinate di quale dipinto si tratta e chi è l'autore. Buon divertimento!

E’ un pomeriggio d’inverno. L’atmosfera fa presagire un’altra imminente nevicata. I colori predominanti sono ilbianco, il grigio-verde ed il bruno nerastro. Il freddo ed il gelo sono sempre più insopportabili. Tutto è una distesa di neve che ha ricoperto i tetti, i campi, il lavoro dell’uomo. I paesini della vallata, circondati dalle montagne e distinguibili ognuno da un alto campanile, sono congelati. Immobili… ma solo all’apparenza. Guardandone uno più da vicino si può scorgere l’operosità dei suoi abitanti. Una donna cammina attraversando un ponticello portando sulle sue spalle curve dalla fatica, una pesante fascina di legna mentre un uomo, affossando i piedi nella fresca coltre bianca, che costeggia il lago, traina un grande carro con due cavalli ed un grosso carico. Altre due donne si stanno dirigendo da qualche parte. Forse a casa, al riparo. Una trascina l’altra, che si tiene su uno slittino. Li vicino un uomo sembra raccogliere delle bacche da un albero ormai secco. Quasi in primo piano, un nutrito gruppo di contadini si trova davanti alla locanda del paese, sotto la piccola tettoia ricoperta di neve e carica di candelotti ghiacciati che creano una sorta di decorazione, un merletto come quelli di pizzo fatti dalle nonne. C’è un uomo che sposta un tavolino in legno ed è rivolto verso una donna dal grembiule bianco, che spicca rispetto al vestito scuro, la quale sta attizzando il fuoco. Un altro personaggio con, in mano una fascina, è proprio li vicino. Una piccolina, sembrerebbe una bambina, guarda la scena mentre una figura femminile, un poco in trasparenza, con una cuffia bianca ed in mano del fieno, esce dalla porta della locanda. Nonostante una finestra, dalle persiane parzialmente aperte, non si riesce a scorgere l’interno. Questi contadini, dopo aver acceso un fuoco, proprio li davanti al locale, dal nome “Al cervo”, come scritto sulla vecchia insegna penzolante di colore rosso-bruno raffigurante Sant’Eustachio, stannobruciando la pelle di un maiale, da poco macellato, per rimuoverne le setole. L’animale non è visibile ma la presenza del tipico mastello di legno che si adopera è un inequivocabile riferimento a quest’attività. Sulle distese di ghiaccio piccole figure scure di uomini e bambini animano la fredda giornata invernale con giochi e corse sui pattini e sugli slittini. Poco lontano l’acqua di un fiume seguendo le sue anse si dirigerà verso il mare; anche qui intorno si possono scorgere uomini affaccendati. A guardar bene, alcuni di loro stanno attraversando a piedi un piccolo ponte che li porta ad una casa dove un camino, a giudicar dalle fiamme rosse che fuoriescono, sembra aver preso fuoco. Un uomo, grazie ad una scala in legno, sta salendo sul tetto mentre altri sono li vicino. Tutt’intorno, alberi spogli, ricoperti di una coltre bianca, la stessa che ricopre tutto il paesaggio ed i tetti delle case con i muri di mattoni rossi. Lo sfondo della scena è occupato da una distesa di campi ghiacciati che arrivano fino ai piedi di vette innevate. Qualche uccello nero popola il cielo mentre pochi altri sono appollaiati sui rami. Sulla sinistra la pianura si estende fino alla linea dell’orizzonte. E’ questo il panorama che tre personaggi, insieme ai loro cani, vedono al ritorno da una magra battuta di caccia. Si trovano proprio in primo piano, sotto grandi alberi spogli, e qualche cespuglio secco, che forse rappresentano l’ultimo confine di un bosco prima di entrare nel paese. I capi sono chini, le spalle curve. Portano il carico delle loro picche. Sembrano incuranti dei movimenti e delle persone. Il loro passo è stanco e pesante. I piedi affondano nella neve fresca lasciando al loro passaggio molte impronte. Procedono faticosamente ed in silenzio verso il paese, verso le loro case che, con i loro camini accesi, potranno dargli un po’ di sollievo dopo tanto freddo pungente.
Questo dipinto (1565), un olio su tavola delle dimensioni di 117x162 cm, viene esposto presso il Kunsthistorisches Museum. Appartiene ad un ciclo composto da sei quadri della serie dei “Mesi” di cui oggi ne sono rimasti soltanto cinque; altri due si trovano nella stessa stanza del museo di Vienna mentre i restanti sono, uno a New York ed uno a Praga. Raffigurano il lavoro dell’uomo nel susseguirsi del ciclo delle stagioni. Il pittore è molto attento a tutti i dettagli ed il paesaggio non è tipico delle regioni da cui lui proviene bensì è ispirato ad un paesaggio alpino. Questo dipinto molto probabilmente è l’ultimo della serie poiché rappresenta il ritorno ed è carico di contenuti simbolici. E’, secondo gli esperti, il simbolo di una ricerca spirituale. Il significato della caccia, del fuoco, del ciclo delle stagioni che indicano il ciclo della vita, la morte e la rinascita. E poi l’insegna di Sant’Eustacchio e la scritta “Al cervo” che alludono alla leggenda della conversione del protomartire, avvenuta in seguito alla visione di una croce fiammeggiante tra le corna di questo animale proprio durante una battuta di caccia.
Questo dipinto viene più volte ripreso, e ne è metafora e simbolo, in una scena di un famoso film di fantascienza del regista sovietico Andrej Tarkovskij. Il film a cui mi riferisco è Solaris, del 1972 tratto dall’omonimo romanzo, antecedente di undici anni, dell’autore polacco Stanislaw Lem che, considerato una narrativa psicologica, rappresenta la parabola della vita trattando di grandi temi umani, quesiti filosofici e misteri dell’esistenza.
Ma chi è l’autore di quest’opera? Non si conosce molto, anche la data di nascita è incerta, dovrebbe essere il 1525 probabilmente a Breda, nelle Fiandre (oggi Belgio). Studia ad Anversa e nel 1552 intraprende un viaggio in Italia che va dalle Alpi per passare da Roma fino alla Sicilia. Viaggio molto importante per la sua pittura e non solo. Eseguirà molti schizzi e disegni alpini che poi utilizzerà come sfondi montuosi. Delle vere rappresentazioni di paesaggi naturali, dei suoi quadri più famosi, tra i quali anche quello di cui si sta raccontando in questo capitolo. Nel 1563 si sposa e si trasferisce da Anversa a Bruxelles, dove dipingerà la maggior parte delle sue opere e dove morirà nel 1569 lasciandoci in eredità due figli ed un nipote anch’essi pittori. Pare che la ragione del suo trasferimento sia dovuta a questioni religiose. Le Fiandre all’epoca erano sotto la dominazione spagnola ed egli probabilmente cambiò città per sfuggire alle persecuzioni, facendo parte di una setta che contestava lo sfarzo della Chiesa di Roma. Pittore, disegnatore e incisore, è considerato uno dei maggiori artisti della prima metà del Cinquecento nel nord Europa. La scuola è quella fiamminga a partire dallo studio dell’olandese Hieronymus Bosch. Dipinge la vita popolare della sua epoca e dei suoi luoghi, nelle campagne e nelle città. Bambini che giocano nei vicoli di un villaggio, invitati a un pranzo di nozze, contadini che lavorano i campi, cacciatori in un paesaggio innevato. Racconta, con grande dovizia di particolari, la quotidianità, anche quella nei suoi aspetti meno nobili, con senso dell’umorismo, con ironia ma con una visione realistica, nascondendo nelle figure anche qualche piccolo segreto. Per la prima volta la vita del popolo acquista importanza. 

lunedì 11 giugno 2018

... e ancora "Storia della Fotografia":
Quando la fotografia diventa “istantanea” (prima parte)
Qui di seguito la quinta parte relativa all'analisi dei manifesti della fotografia:
I Preraffaelliti, il Pittorialismo ed il Simbolismo (prima parte)
I Preraffaelliti, il Pittorialismo ed il Simbolismo (Seconda e ultima parte)

I "Manifesti" degli albori della fotografia, suddiviso in tre parti:
La scoperta della fotografia
“La Lumière”
“La Société Française de Photographie”

Manifesto della “Magnum Photos Inc., i primi 50 anni” (prima parte)
Storia della Fotografia: Manifesto de "La Bussola" (seconda parte)
Continuando con la Storia della Fotografia... Manifesto de "La Bussola (prima parte)
Eccomi con una nuova sezione: "Storia della Fotografia". Saranno postati i link relativi all'analisi dei manifesti della fotografia pubblicati - a partire da settembre 2017 - su Agorà di Cult (Dipartimento Cultura della Fiaf). Qui di seguito il primo: Cos’è il Manifesto di un movimento artistico?

venerdì 8 giugno 2018

Giochiamo con l'arte... capitolo 2

... continuando con l'indovinello precedente...

Se ci spostiamo nel 1850 lo stesso soggetto viene rappresentato da un altro grande pittore, anche poeta e padre fondatore dei Preraffaeliti. Possiamo ritrovare la stessa atmosfera e gli stessi simboli del dipinto precedente. Si tratta, anche in questo caso, di un olio su tela, dal titolo in latino, attualmente conservato alla Tate Gallery di Londra. La rappresentazione in questo caso si discosta molto da quelli che erano i modelli Medievali e l’artista ci descrive una storia antica mostrandocela secondo una visione nuova e semplice. Scorcio di una stanza, dalla finestra aperta è visibile il cielo blu e la sagoma di un albero. Un letto, questa volta ben ordinato, sul quale è seduta, spalla appoggiata alla parete, gambe raccolte, capo leggermente inclinato in avanti e sguardo mesto, una dolce ancilla dai lunghi capelli castani. Il colore predominante è il bianco infatti sia le lenzuola che la lunga veste della ragazza, particolare questo diverso dalla rappresentazione tipica, hanno lo stesso colore fino a farli quasi confondere. Ma bianchi sono anche il muro, il pavimento e la tunica del secondo personaggio raffigurato nel dipinto. E’ un ragazzo, in piedi (anche qui siamo di fronte ad un cambiamento dell’iconografia classica) che, sulla sinistra della tela è rivolto a tre quarti rispetto all’osservatore, e guarda verso la ragazza con la mano sinistra leggermente alzata mentre con l’altra mano, tesa in avanti, le porge un giglio bianco. Osservando con attenzione all’angolo in basso della finestra, che si trova sullo sfondo, viene rappresentata una piccola colomba bianca. Colori a contrato sono l’azzurro della tenda e il rosso del leggio (ecco che qui compaiono i colori della rappresentazione classica). Un’aurea color ocra circonda il capo di entrambi i personaggi evidenziando, a partire dal carattere umano dei due soggetti, un’atmosfera sacra.

Giochiamo con l'arte... capitolo 1

Avete voglia di divertirvi con me? Avete voglia di mettervi in gioco?
Vi propongo un passatempo che consiste nel cercare d’identificare nomi di autori e opere in questione solo in base alla mia descrizione, che di volta in volta vi fornirò. Potranno essere fotografie, dipinti, disegni, sculture... Scrivete la vostra soluzione nei commenti e… Buon divertimento!

Due città. Torino e Genova. Due dipinti. Uno di dimensioni ridotte e minore qualità. Lo stesso identico soggetto. Lo stesso autore. Un “caravaggista” che nasce a Pisa nell’anno in cui termina il Concilio di Trento e muore a Londra nel 1639. Una figlia, forse più famosa di lui.
Il dipinto, realizzato nel 1623, durante il soggiorno genovese dell’autore e poi spedito a Torino presso la galleria Sabauda, fu fatto per il duca Carlo Emanuele di Savoia mentre una seconda copia, più piccola, datata 1623-1624 si trova nella Basilica di San Siro sita nel centro storico di Genova.
In quest’olio su tela la scenografia è rappresentata dallo scorcio di una stanza. Sulla destra del dipinto appare parte di una finestra da cui si vede il cielo terso e da cui filtra un intenso raggio di luce. Una colomba la attraversa per entrare nella scena. In fronte all’osservatore, candide lenzuola bianche di un letto disfatto e, sul retro, degli spessi drappi, di colore rosso scuro, fanno da sfondo.
Due figure, una femminile ed una maschile, si trovano al centro. Lei, in piedi, ha il corpo teso in avanti e la testa leggermente inclinata come a fare un inchino, gli occhi sono chiusi e lo sguardo rivolto verso il basso. La sua mano destra, all’altezza della spalla, è aperta, il palmo rivolto verso di noi, in un cenno di saluto. L’altra tiene la leggera veste blu che le copre parte di un lungo abito anch’esso di colore rosso, tipici della veste descritta, come possiamo osservare già dalle prime rappresentazioni risalenti al Medioevo (1100 circa). Il capo è coperto da un velo che lascia intravedere i lisci capelli castani ed il volto, la cui espressione è dolce e remissiva. Le guance tinte di un lieve rossore sembrano far trapelare la sua timidezza di fronte alla figura che sta in ginocchio al suo fianco. Costui ha una mano il cui indice è rivolto verso l’alto, ad indicare la colomba, mentre con l’altra tiene un giglio bianco. I piedi sono scalzi e spuntano dalla lunga veste gialla e rosa. Lo sguardo è rivolto verso la donna ed il viso è incorniciato da boccoli dorati. Delle grandi ali bianche, che fuoriescono dalle sue scapole, sono dipinte con dovizie di particolari che ben evidenziano le singole piume fino a farne avvertire la morbidezza. Due sono i simboli presenti: la colomba che rappresenta lo Spirito Santo e il giglio bianco che sta a significare la purezza, l’innocenza, il candore. Tutto è descritto in dettaglio, i colori sono intensi, le ombreggiature ben evidenti. La tecnica pittorica rende tale opera il capolavoro di questo artista ed uno dei maggiori dipinti devozionali nel periodo della controriforma.