mercoledì 19 aprile 2017

La Pop-art



La pop-art è il movimento che nasce e si sviluppa negli Stati Uniti, per poi spostarsi anche in Europa, intorno alla metà degli anni cinquanta. Con questo termine s’intende l’arte popolare, ossia l’arte che documenta la cultura del suo tempo, soprattutto quella americana. Il boom economico e lo sviluppo tecnologico al quale si assiste negli anni 50-60 contribuisce a creare una nuova cultura di massa, una cultura in cui l’immagine ha il predominio su tutte le forme di espressione e si impone con nuovi linguaggi e nuovi valori che diventano parte della vita quotidiana di tutti. La diffusione dei mass-media e dei messaggi pubblicitari incrementa, in questi anni, il consumismo e il rapporto offerta/richiesta di beni superflui ed una sempre maggiore standardizzazione dei consumi. La pop-art usa l’oggetto e l’immagine di consumo (compresi i nuovi idoli del cinema e della musica) denunciando il valore che essi assumono nella società, in cui i valori interiori e spirituali vengono meno lasciando il primo posto a inutili bisogni indotti. Attraverso quest’arte si vogliono demistificare i nuovi oggetti dei desideri, si vuole evidenziare il prodotto seriale, e la possibilità che tutti possiedano un’opera d’arte nelle proprie case elevando gli oggetti comuni ad opere d’arte in serie. Ed è cosi che i fumetti, Merilyn Monroe, Elvis Presley, le bottigliette di coca-cola, i detersivi (Brillo) e le zuppe (La zuppa Campbell), le sigarette e gli hamburger diventano e si elevano ad opere d’arte ed il centro nevralgico dell’arte si sposta da Parigi a New York. La creazione di opere in serie si contrappone al mondo dell’arte tradizionale dove il prodotto unico era una caratteristica fondamentale. Si assiste ad una riproduzione seriale e quasi fedele (cambiano le dimensioni ed i colori per esempio) del “prodotto di consumo”. C’è un importante nome da conoscere e ricordare quando si parla di pop-art: Leo Castelli, il cui vero nome è Leo Krauss, (Trieste 1907-New York 1999), il quale nel 1957 fonda a New York la sua galleria “Leo Castelli Gallery” al numero 420 di West Broadway. A lui si deve dare il merito di aver scoperto molti degli importanti artisti americani del secolo scorso. A questo si deve aggiungere un evento fondamentale: la XXXII Biennale di Venezia del 1964, anno in cui il clamore della pop-art (mostra progettata e realizzata dallo stesso Castelli) oscurò tutte le altre mostre che vi presero parte. Gli iniziatori della pop-art si chiamano Robert Rauschenberg (1925-2008) e Jasper Johns (1930 - in attività) mentre tra i rappresentanti più tipici ricordo Roy Lichtenstein (1923-1997), Andy Warhol (1928-1987) e Claes Oldenburg (1929 - in attività). Utile per comprendere il significato della pop-art è una frase dello stesso Warhol che dice riferendosi all’America: “Quel che c’è di bello in questo paese è che i consumatori più ricchi comprano praticamente le stesse cose dei meno abbienti. […] Una Coca è una Coca, e non ci sono soldi che valgano a farti avere una Coca-cola migliore di quella che si beve il barbone all’angolo. […] L’idea dell’America è così bella perché quanto più una cosa è livellata tanto più è americana.” Così con le opere di Warhol ogni persona potrà avere la sua Coca-cola (“Five Coke bottles”, 1962), la sua Marilyn (“Marilyn”, 1967) e la sua zuppa (“Big Campbell’s soap”, 1962). 
 
Big Campbell’s soap (1962)
Brillo Boxes (1969)
Marilyn
Liz Taylor

L'informale: Arte segnico-gestuale, arte materica e spazialismo



Siamo alla fine della seconda guerra mondiale e se fino a questo momento le avanguardie storiche e in ultimo l’astrattismo hanno creato un punto di rottura con il passato, parlando di arte ad esse successiva si assiste al definitivo allontanamento dall’arte classica. Da ora in poi si devono prendere in considerazione alcuni importanti aspetti nell’arte. Innanzitutto l’Europa e Parigi, che sono state la capitale mondiale dell’arte moderna, perdono questo primato e l’arte sposta il suo centro in America, a New York. La seconda caratteristica è la definitiva rottura con il passato ed il fatto che terminologia e ed il metro di giudizio usati fino a qui devono cambiare. Infine si deve considerare l’entrata in scena del mercato dell’arte. Inizia il momento dell’arte informale ossia una serie di esperienze artistiche contrarie alla “forma”. Cosa sono le forme? Nella realtà (visibile e tattile) è forma tutto ciò che ha un contorno, con il quale un oggetto o un soggetto si differenzia dalla realtà circostante, e nel quale si definiscono le sue caratteristiche. Anche l’arte astratta, soprattutto nelle sue correnti più geometriche, si costruisce per organizzazione di forme. L’informale, rifiutando il concetto di forma, si differenzia dalla stessa arte astratta, costituendone un’evoluzione.
ARTE MATERICA: i suoi protagonosti principali sono Jean Dubuffet (1901-1985), Alberto Burri (1915-1995) e Antoni Tapies (1923-2012). E’ il 1943, lo stesso anno in cui in America nasce l’action painting (vedi Jackson Pollock), quando in Europa (Francia, Italia, Spagna) emerge l’informale materico. Attraverso l’utilizzo di materiali che vengono inseriti nel dipinto, e che emergono dalla superficie del quadro, si rompe il confine tra pittura e scultura, tra immagine bidimensionale e immagine tridimensionale. In particolare Burri sfrutta materiali poveri, spesso di scarto, quali legni, vecchi sacchi di juta, plastica, catrame, ferro, terra, cemento, sabbia, colla, carta e colori acrilici. Le caratteristiche dell’arte materica sono, oltre all’utilizzo di materiali di vario genere, la mancanza della forma, che la annovera appunto come arte facente parte dell’informale. Molto importante è il gesto artistico, ossia il vedere l’artista all’opera e l’osservare come gli elementi usati possono cambiare forma e colore; in relazione a questo è importante la scelta, scelta che diventa essa stessa atto artistico (viene ripresa in questo caso la “lezione duchampiana”). Relazione tra materiale e forma ossia le modifiche e le trasformazioni, difficili da controllare e spesso incontrollabili, alle quali artista e fruitore assistono durante e dopo la creazione dell’opera. Oltre alla vista, in queste opere, partecipano anche altri sensi come l’olfatto e il tatto e intervengono la chimica e la fisica dei materiali. Un sacco o un pezzo di plastica che vengono bruciati con una fiamma ossidrica, per esempio, cambiano forma, colore, odore. L’opera d’arte è mutevole e in quanto tale è viva. Alberto Burri, di origine Umbra, porta avanti la sua ricerca e la sua sperimentazione con la materia e le sue opere parlano di dolore, raccontano di ferite, mostrano la brutalità della guerra e descrivono l’aridità fisica e mentale. Dal 1950 al 1955 circa si dedica ai “sacchi”: alla tela, normalmente dipinta uniformemente di rosso o di nero, sono incollati dei sacchi di juta rotti, strappati, ricuciti e sporchi, sacchi che non sono modificati per assumere queste caratteristiche ma che sono stati trovati così dall’artista stesso, sono reali, ad evidenziare la storia vissuta da questi oggetti che non dovevano essere belli ma usati per il lavoro. In questo si discosta da Duchamp, l’oggetto infatti, non serve per dissacrare l’arte ma serve come denuncia e polemica nei confronti della società. In questo percorso artistico Burri utilizzerà anche indumenti, sempre con le stesse caratteristiche e lo stesso scopo. 

A. Burri Sacco e rosso (1954)
A. Burri Grande rosso P. n.18 (1964)
A. Burri Cretto di Gibellina















Tali oggetti usati e logorati rappresentano i resti dell’esistenza umana, rappresentano quello che resta dopo la lotta, dopo i campi di concentramento, rappresentano i relitti umani, i lavori umili e la miseria, le macerie e la tragedia dopo la brutalità della guerra. Un esempio è “Sacco e rosso” (1954). Dal 1957 si dedica alle “combustioni” che rappresentano un intervento sulla materia più radicale e aggressivo rispetto ai precedenti strappi e buchi. Attraverso la fiamma ossidrica Burri brucia legno, sacchi e soprattutto la plastica. Un esempio è “Grande rosso P. n. 18” (1964). Con la plastica il carattere drammatico delle sue opere si fa ancora più forte. Questo materiale è molto reattivo nei confronti del fuoco si scioglie velocemente, cola, si contrae, lascia dei residui e tutto questo ha come conseguenza la creazione di forme, d’increspature e di buchi che non sono facili da controllare e si basano su un evento casuale che però ha un significato. Le voragini che si formano aprono la superficie e permettono di vedere oltre il piano della tela, il corrugarsi della plastica dona un effetto tridimensionale e queste caratteristiche creano una percezione spaziale.  Altro lavoro importante riguarda la serie dei “cretti” prodotta intorno agli anni 1980-1990. Utilizzando il cellotex, un materiale povero, di uso industriale costituito da particelle di segatura e colla pressate, unito a vinavil, pigmento e caolino, Burri crea delle superfici che una volta asciutte hanno la proprietà di creparsi assumendo le caratteristiche della terra incolta e arsa, essiccata dal sole e dalla mancanza di acqua. Un esempio è “Bianco cretto C1” (1973).
SPAZIALISMO: i principali esponenti sono Lucio Fontana (1899-1968) e Mark Rothko (1903-1970). Lo spazialismo nasce nel 1946 con il “manifesto blanco” scritto da Lucio Fontana, che in questo documento esprime la sua poetica. Seguiranno altri sette manifesti, l’ultimo nel 1958 in una sua importante personale alla XXIX Biennale di Venezia. Nato nel 1899, a Rosario de Santa Fé in Argentina, studia in Italia e si iscrive all’Accademia di belle arti di Brera a Milano. Il suo percorso artistico è molto complesso ed essendo Fontana un bravo scultore, ceramista e pittore, nel corso della sua carriera elabora diversi progetti. Da sempre interessato al superamento della figura e del disegno. Una delle sue prime opere risale al 1930 e rappresenta una struttura in gesso con un carattere figurativo dal titolo “L’uomo nero”; questa sagoma, ricoperta di catrame, dalla quale è appena riconoscibile un uomo seduto, allude alla condizione originaria dell’umanità. Nel 1946 a Buenos Aires la svolta non figurativa e nel 1947 la stesura del primo manifesto dello spazialismo. Con il passare degli anni e di diversi manifesti si passa da un concetto spaziale in cui sono previste forma e materia plastica, all’allontanamento dalla pittura e dalla scultura, in favore dell’utilizzo di nuove risorse e nuove tecniche. Si passa così alla serie dei “buchi” (1949-1952) “io buco questa tela, che era alla base di tutte le arti e ho creato una dimensione infinita” afferma Fontana. Seguono altre serie che prevedono l’utilizzo di pietre, di gessi, di inchiostro, di metallo, fino ad arrivare al 1958 quando inizia la serie che lo ha reso celebre, quella dei “tagli” a cui viene dato l’appellativo di “Attese”. Attraverso queste tele monocromatiche o bianche, con uno o più taglia l’artista compie un gesto netto e violento che permette di andare oltre la superficie della tela, oltre i suoi limiti, si supera infatti la bidimesionalità della tela creando una continuità tra lo spazio che sta davanti e quello che sta dietro. Si crea la tridimensionalità della tela, si cerca il realismo della pittura. Con il taglio, passa la luce, la tela si ripiega e si vede il nero che sta dietro. Con l’opera “Ambiente spaziale, Attese” del 1966 realizzato in occasione della XXXIII Biennale di Venezia, Fontana riceve il riconoscimento internazionale per avere contribuito allo sviluppo dell’arte contemporanea. Morirà nel 1968 a Varese.

L. Fontana serie "Le attese"
L. Fontana L'uomo nero (1930)
M. Rothko
M.Rothko

























In maniera del tutto diversa anche Mark Rothko fa parte dello spazialismo. Pittore statunitense nato in Lettonia, soffre di depressione e muore suicida nel 1970 nel suo studio di New York. Le sue tele, sempre di grandi dimensioni, non esprimono azione ed impeto ma sono caratterizzate dall’assenza di forma e, ricorrendo alla stesura di colori che prevedono sottili e quasi impercettibili variazioni tonali, rappresentano la ricerca di uno spazio che va oltre quello naturale, attraverso un lavoro spirituale e malinconico. Abbandonato il figurativo gli stacchi di colore sono dapprima netti e poi via via sempre più sfumati, più sfuocati. La sua ricerca era quella di riuscire a fare sparire la mano dell’artista dall’opera e così anche i colori usati cambiano nel tempo e verso la fine della sua carriera predilige le tonalità del marrone e poi il nero, fino alla completa sparizione dell’uomo, fino alla sua assenza, identificata con l’assenza di colori luminosi. Un esempio di sua opera è “Arancione, marrone” (1963). Le sue opere sono presenti in tutto il mondo ed una importante è stata completata nel 1971, dopo la sua morte, a Houston in Texas. Si tratta della “Cappella Rothko”. Dal punto di vista architettonico è un edificio di forma ottagonale, a forma di croce greca, fatto di mattoni, con un lucernaio a luce diffusa, arredato con otto semplici panche. Il nome deriva dal fatto che alle pareti ci sono 14 dipinti neri con sfumature realizzati dallo stesso artista, il quale ha anche influenzato la scelta della forma e del design della struttura.
ARTE SEGNICO GESTUALE: o informale o Tachismo (tachisme è un vocabolo francese che deriva da tache ossia macchia, inoltre l’etimologia della parola deriva dal greco tachýs ossia veloce, rapido). Sia macchia che velocità sono due terminologie ricorrenti, due caratteristiche, di quest’arte. Altre parole chiave sono collegate con la pittura orientale e la dottrina zen, che ne influenzano fortemente il segno e il gesto (gesto fluido, ricerca gestuale e di segno, semplicità, senso di vuoto). I nomi dei principali artisti in Francia sono Wols nome d’arte di Alfred Otto Wolfgang Schulze (1913-1951), Georges Mathieu (1921-12012) e Hans Hartung (1904-1989). In Italia tra gli altri emergono la figura di Giuseppe Capogrossi (1900-1972) e Emilio Vedova (1919-2006) mentre negli Stati Uniti Mark Tobey (1890-1976), Franz Kline (1910-1962), Willem de Kooning (1904-1997) e il già nominato (vedi altro post) Jackson Pollock (1912-1956). 

 
G. Capogrossi
H. hartung