martedì 28 marzo 2017

Astrattismo

Ecco il grande punto di rottura! Per la prima volta nella storia dell’arte non esiste più l’oggetto. Abbiamo assistito ad una pittura che ne ha riprodotto l’esatta copia, oppure lo ha catturato in un istante preciso, lo ha scomposto, gli ha persino cambiato significato e poi… e poi l’Astrattismo.
Questo movimento ha le sue origini nel 1911 a Monaco dove Wassilj Kandinsky (1866-1944) insieme a Franz Mark (1880-1916) danno vita a “Il Cavaliere Azzurro”. Pur non dimenticando lo svizzero Paul Klee (1879-1940), il culmine viene raggiunto in Olanda con Piet Mondrian (1872-1944) e ancor più in Russia con Kazimir Malevic (1879-1935) e quello che viene definito Suprematismo russo. Per riassumere in poche parole le caratteristiche di questi pittori possiamo scrivere che Kandinsky dipinge con i sentimenti e li rappresenta fino a raggiungere la “forma” astratta, Klee ha come punto di partenza, e dipinge, la mancanza della forma, Mondrian calcola scientificamente le sue opere che sembrano veri esercizi matematici, infine lui, Malevic ossia l’astratto per eccellenza, il “deserto dove nulla è riconoscibile, eccetto la sensibilità” come lo definisce lui stesso nel manifesto del Suprematismo russo, scritto nel 1915 a San Pietroburgo: “per suprematismo intendo la supremazia della sensibilità pura nelle arti figurative. I fenomeni della natura oggettiva, in se stessi, dal punto di vista dei suprematisti, sono privi di significato; la sensibilità come tale, in realtà, è del tutto indipendente dall’ambiente nel quale è sorta. […] L’oggetto in se stesso è senza significato. […] Decisiva è invece la sensibilità”. Queste teorie vengono sviluppate nel 1927 nel suo trattato più famoso dal titolo “Il suprematismo come modello della non rappresentazione”. Due sono le sue opere più provocatorie. La prima del 1913, “Quadrato nero” e “Quadrato bianco su fondo bianco” (1918).
Musica, sentimenti, colori. Sono questi i tre componenti fondamentali della poetica Kandinskiana. Nel suoi trattati “Sguardi sul passato”, “Lo spirituale nell’arte” e nel seguente “Punto, linea, superficie” Wassily Kandinsky associa ad ogni strumento un sentimento ed un colore e ad ogni forma, ed alla combinazione dei due, un significato. Linee e forme diventano metafore per rappresentare il mondo attraverso lo spirito. Il suo percorso consiste nel rendere il mondo reale via via più lontano dalla natura fino a diventare solo forma e colore, fino a diventare astratto pur mantenendo non un fine estetico, o decorativo che dir si voglia, bensì di comunicazione. Il contenuto ed il significato dell’opera astratta è reso attraverso la completa mancanza di quello a cui siamo abituati a vedere, la mancanza di quello che ci circonda.
In Olanda troviamo un altro importante capofila della pittura astratta: Mondrian, il fondatore di “De Stijl” (Lo stile 1918), un movimento, coadiuvato dalla rivista omonima. Quello di Mondrian è stato uno studio metodico e graduale, per arrivare all’astrattismo, attuato con la serie di tele (tra il 1908 e il 1912) tutte raffiguranti lo stesso soggetto: un albero. Nel corso delle successive rappresentazioni l’albero da naturale subisce un processo di semplificazione e riduzione, attraversando varie fasi passando per quella cubista fino a diventare cubista-astratta, cioè la mancanza di quello che è naturale. Da questi quadri Mondrian inizia il percorso verso l’utilizzo della geometria, slegandosi dai principi del Cubismo. Arriva in questo modo a dipingere rettangoli e quadrati in cui le campiture di colore uniformi, piatte e pure (rosso, giallo, blu e bianco), sono separate da linee rette nere e ben definite, eliminando le curve. Rimuove dunque ogni residuo di pennellata e segno emozionale (che era ancora tipico di Kandinsky). Anche queste tele (che lui chiama composizioni) diventano via via più semplici con un ridotto numero di rettangoli, quadrati e colori. Partendo da immagini come riproduzioni, ottiene creazioni artistiche progettate per rappresentare armonia e bellezza. E’ noto che ogni suo quadro sia la sintesi di tanti bozzetti e tante prove per ottenere un equilibrio tra forma, dimensione e colore, tra superfici bianche e colorate.
L’astrattismo influenzerà molta della pittura moderna e contemporanea a partire dal secondo dopoguerra come del resto, tutte le avanguardie storiche che si sono succedute e sovrapposte fino agli anni ’30. Con le loro scoperte nel campo della tecnica e dell’espressione, sono state un punto di rottura con il passato e un punto di partenza per il futuro. Uno degli esiti più interessanti e suggestivi dell’Astrattismo, è dato dall’Action Painting del pittore statunitense Jackson Pollock (1912-1956). Egli, a partire dal 1946, inventò il dripping, ossia la tecnica di porre il colore sulla tela posta a terra, mediante sgocciolatura e spruzzi. Nei quadri così ottenuti risultano delle immagini confuse e indecifrabili. Cosa esprimono? Il senso del caos, che è una rappresentazione della realtà, forse, più vera di quelle che ci propone la razionalità umana. L’arte, in questo modo, non solo nega il concetto di immagine, ma nega il fondamento stesso dell’arte. 

kandinsky - Composizione VIII
(1923)

Mondrian
Composition II in red blue yellow
(1930)

Malevich
Quadro bianco su fondo bianco
(1918)

Jackson Pollock

Cubismo

Pensando a questo movimento il primo nome che ci viene in mente è senz’altro Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno María de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad Ruiz y Picasso, o semplicemente Pablo Picasso. E di certo non sbagliamo ma dobbiamo fare un passo indietro. Il cubismo ha il suo primo germoglio con Paul Cézanne (1839-1906) pittore francese che pur nascendo nella culla degli impresisonisti (partecipa infatti alla prima mostra, quella del 1874 presso lo studio del fotografo Nadar) ha un rapporto distaccato da questo movimento e viene considerato il padre del cubismo poichè cerca di sintetizzare le forme e lo spazio mediante l’utilizzo del solo colore (sovrapponeva i colori con spalmature successive, senza mai mischiarle, non c’è prospettiva ne chiaro-scuro). E’ interessato solo ai volumi e non allo spazio, tanto da affermare che tutta la realtà può essere sempre riconducibile a tre solidi geometrici fondamentali: il cono, il cilindro e la sfera. Possiamo già riconoscere le caratteristiche fondamentali del Cubismo che viene suddiviso in protocubismo, cubismo analitico e cubismo sintetico (c’è anche un cubismo orfico molto diverso nei contenuti). I due maggiori esponenti sono Pablo Picasso (1881-1973) e Georges Braque (1882-1963). Per convenzione la data di inizio di questa avanguardia storica corrisponde con “Le demoiselles d’Avignon” (1906-1907) di Pablo Picasso, uno dei più famosi artisti del XX secolo. Padre del Cubismo e della pittura moderna. Ma quale è il significato di questa opera? “Le bordel philosophique”, secondo il titolo attribuitole da Apollinaire, rappresenta la visione di una casa d’appuntamento, situata in una strada malfamata di Barcellona, con all’interno cinque donne. Le due figure centrali guardano dritte verso lo spettatore mentre le rimanenti, ai lati, hanno un aspetto diverso avendo il volto rappresentato da tratti molto somiglianti a maschere africane (da ricordare che l’arte africana conosce un momento di grande popolarità tra gli artisti europei). Quella in basso a destra è addirittura girata di schiena ma il viso è rivolto al contrario. In generale l’opera è caratterizzata dalla mancanza di vuoti e pieni e le figure, spigolose e ruotate, perdono l’anatomia classica. Viene demolita la prospettiva e i soggetti invece di essere guardati da una sola angolazione sono osservati da molteplici e rappresentati come una commistione degli stessi, ottenendo l’effetto di sovrapposizione di piani e volumi e la nascita di una nuova dimensione dello spazio pittorico, la quarta dimensione. In pratica per rappresentare la realtà Picasso la osserva ma, a differenza degli impressionisti intenti a cogliere l’attimo, il colore di un preciso istante e l’effimera evanescenza del tempo, il pittore cubista osserva per un tempo più prolungato, tempo in cui riesce a cogliere, da diverse ancolazioni, la totalità del soggetto ed il suo movimento. Pertanto nella pittura tenta di rappresentare questa visione in cui un oggetto simultaneamente mostra più lati di se stesso, sconvolgendo la rappresentazione tradizionale e le regole della mimesi, introducendo la necessità, da parte dello spettatore, di analizzare, ricostruire e comprendere l’opera d’arte. Volti e corpi sono completamente trasformati introducendo maschere e geometrie. Uno degli aspetti fondamentali della mimesi, la prospettiva viene, ora, completamente stravolta. Il suo limite sta nella staticità del soggetto (concetto che sarà ripreso dal Futurismo che avrà come parola d’ordine la dinamicità). 

Cézanne - Mont Sainte Victoire
(1902-1904)

Picasso
Le demoiselles d'Avignon
(1907)

Picasso
Ritratto di Dora Maar
(1937)

Braque - Porto in Normandia
(1909)
   

Sophie Calle: un voyerismo intimo

Incapace di cogliere la morte
Monique voleva vedere il mare per l’ultima volta.
Martedì 31 gennaio siamo andate a Cabourg. L’ultimo viaggio.
L’indomani, “per andarmene con i piedi in ordine”: l’ultima pedicure.
Ha letto Ravel di Jean Echenoz. L’ultimo libro.
Un uomo che stimava da molto tempo è venuto a trovarla al suo capezzale. L’ultimo incontro.
Ha organizzato le esequie: l’ultima festa.
Ultimi preparativi: ha scelto il vestito per il funerale blu scuro con dei motivi bianchi, una fotografia in cui fa una smorfia da mettere sulla lapide e l’epitaffio: Mi sto già annoiando!
Ha scritto un’ultima poesia per la cerimonia di sepoltura.
Ha voluto il cimitero di Montparnasse come ultimo domicilio. Non voleva morire.
Ha detto che per la prima volta in vita sua non era impaziente. Ha pianto per l’ultima volta.
Nei giorni precedenti la sua morte, continuava a ripetere: “È strano. È stupido”.
Ha ascoltato il Concerto per clarinetto in La maggiore, K 622 di Mozart. Per l’ultima volta.
Il suo ultimo desiderio: andarsene accompagnata dalla musica.
Le sue ultime volontà: “Ne vous faites pas de souci” (“Non preoccupatevi”).
“Souci”... è stata la sua ultima parola.
Il 15 marzo 2006, alle 15.00, l’ultimo sorriso.
L’ultimo respiro, tra le 15.02 e le 15.13. Inafferrabile.

(incisione su porcellana in occasione della mostra MAdRE di Sophie Calle 
presso il castello di Rivoli).

Sophie Calle è una fotografa, scrittrice e performer francese, nata a Parigi nel 1953. Dopo un viaggio intrapreso tra il 1973 e il 1978, quando rientra in Francia, rendendosi conto della sua solitudine, rendendosi conto che voleva fare la fotografa, ha trasformato la sua vita in un’opera d’arte. La sua abilità nell’unire, nel creare un rapporto, tra fotografie e testi scritti (afferma di aver preso spunto da Duane Michals, il primo artista che utilizzava il testo e l'immagine da lei conosciuto), oggetti, video e performance, fanno di lei un’artista completa, profonda e straordinaria. La vita personale, spesso quella più intima (tanto da farla sembrare un’esibizionista), la sparizione e l’assenza di persone e oggetti, ma la cui esistenza è provata da fotografie e tracce nella memoria e nell’ambiente, la sua curiosità (lei è una sorta di voyeur con lo scopo di scoprirsi attraverso gli altri, per poter osservare da vicino la gente e i suoi effetti personali) sono tutti elementi primari per le sue opere.
Con una lunga carriera alle spalle, a parer mio, il momento artistico più intenso e struggente lo raggiunge con “Voir la mer” (2011) e “Rachel, Monique” (2006-2014). La prima opera è una videoinstallazione, è il racconto di alcune persone di Istambul che pur vivendo in una città di mare, per motivi di vario genere, non l’hanno mai visto e allora la Calle riesce a cogliere tutto lo stupore, lo stordimento, la felicità, tutti i sentimenti di queste persone che per la prima volta nella vita vedono una simile meraviglia della natura. E lei li cattura nell’istante in cui si girano verso di lei dopo aver volto lo sguardo al blu infinito ed all’incessante movimento delle onde. Solo i loro occhi parleranno ma in quegli sguardi si percepirà ogni cosa, ogni sensazione. Non serviranno parole. “A Istanbul, una città circondata dal mare, ho incontrato persone che non l’avevano mai visto. Li ho portati sulla costa del Mar Nero. Sono venuti a bordo dell’acqua, separatamente, gli occhi bassi, chiusi, o mascherati. Ero dietro di loro. Ho chiesto loro di guardare verso il mare e poi tornare indietro verso di me per farmi vedere questi occhi che avevano appena visto il mare per la prima volta”.
L’opera “Rachel, Monique” è un concentrato di sentimenti ed emozioni, in cui troviamo fotografie, scritte, oggetti, video. Un’opera composta e completa che parte nel 2007 quando, alla Biennale di Venezia, viene proiettato il video che Sophie Calle registra mentre la madre sta morendo. Possiamo quindi affermare che l’opera incomincia nel 2006 e nel tempo si è evoluta, arricchita, ingrandita, migliorata, rendendola unica. “Mia madre amava essere oggetto di discussione. La sua vita non compariva nel mio lavoro e questo la contrariava. Quando collocai la mia macchina fotografica ai piedi del suo letto di morte - volevo essere presente per udire le sue ultime parole ed ero intimorita che potesse morire in mia assenza - esclamò: Finalmente!”. Dal 2006 fino al 2014 l’autrice percorre un viaggio in cui la madre (Monique) pur essendo un’assenza, è presente (molto più di quando non fosse da viva) attraverso le tracce che ha lasciato di se. I suoi diari, le sue fotografie, i suoi oggetti. E’ presente attraverso quelle parole scritte che parlano di desideri, di sentimenti intimi. Gioie, dolori, paure, confessioni, decisioni da prendere… tutta una vita scritta in quelle pagine che, con una performance lunga 22 ore, Sophie Calle legge nel 2012 nella Chiesa di Avignon. Il percorso in compagnia di Monique finisce con un viaggio al Polo Nord. Viaggio tanto desiderato ma mai intrapreso da Monique. Così Sophie esaudisce quest’ultimo desiderio seppellendo, sotto la coltre ghiacciata, una fotografia, una collana ed un anello della madre.
Nella doppia mostra svoltasi al Castello di Rivoli (Torino) sfruttando l’identica pronuncia dei due termini francesi mer e mère (mare e madre) la Calle crea un dialogo tra le due opere (distinte ma unite, diverse eppure correlabili) dando vita ad una profonda riflessione riguardante l’analogia tra il mare e la figura materna, entrambi donatori di vita e entrambi immensi l’uno negli spazi, l’altro nei sentimenti.

“Voir la mer” (2011) 

“Voir la mer” (2011) 

“Rachel, Monique” (2006-2014)    

“Rachel, Monique” (2006-2014)    

“Rachel, Monique” (2006-2014)    

“Rachel, Monique” (2006-2014)    

“Rachel, Monique”
(2006-2014)
    


Da sempre autrice controversa, fin dall’inizio della sua carriera ha lavorato utilizzando metodi provocatori e spesso oggetto di discussione. Basti pensare ad opere in cui è molto forte l’impronta autobiografica e l’attitudine a spiare nella vita degli altri, opere in cui fotografa camere d’albero o persone che, da lei inseguite, camminano in città. Interessante l’opera “Abbi cura di te” (2007). Dopo essere stata lasciata mediante una mail che finisce proprio con le parole “prenez soin de vous” decide di farne una performance (presentata alla Biennale di Venezia), come nel suo stile, dedicata a raccontare come finisce un amore. Viene proiettato un video in cui molte donne (famose e non famose, di diverse professioni ed età) delle 107 a cui è stata mandata copia della mail di addio, interpretano a modo loro, e secondo il loro vissuto, questa lettera. Alla frase “abbi cura di te” ognuna reagisce e risponde in modo diverso. Molto interessante il libro che è stato pubblicato a riguardo.

Suite vénitienne

The hotel series