Cosa vedo quando guardo? Questa è la domanda principale
che dobbiamo porci quando siamo difronte ad un’opera d’arte. Qualsiasi essa
sia. Guardare e vedere sembrano sinonimi ma non è così. Vedere presuppone
l’uso degli organi di senso, gli occhi, attraverso i quali percepiamo il mondo
a noi esterno mentre guardare significa utilizzare una percezione interiore, che
tutti noi abbiamo, e che è dettata dai nostri sentimenti, la nostra
sensibilità, le nostre esperienze, la nostra cultura e dal contesto
storico-sociale nel quale ci troviamo. Un’opera d’arte
è caratterizzata da tre parti fondamentali. La forma ossia la
tecnica usata (per esempio pittura, fotografia, olio, tempera, marmo, gesso, scelta
dell’obiettivo, inquadratura…). Il soggetto che ci indica il tema affrontato,
in cui troviamo quello che raffigura o rappresenta l’opera ed il contenuto cioè
il concetto che esprime, quello che ci comunica. La prima, determinata dall’autore,
sarà uguale per chiunque vi si trovi difronte. Il soggetto, anch’esso guidato dalla
scelta dell’artista, è definito mentre il contenuto è individuale, ed è la
conseguenza del nostro "vedere" che induce, anche, ad essere maggiormente
catturati da una particolarità del soggetto piuttosto che un’altra (per esempio
un albero in una fotografia che rappresenta un panorama). Questo concetto lo si
può ben esprimere con una frase segnalatami da Silvano durante le nostre
discussioni relative a tutto ciò che gira intono all’arte: “Una catena di parole ha un senso, una sequenza d’immagini ne ha mille.
Una parola può avere un doppio o un triplo fondo, ma le sue ambivalenze sono
reperibili in un dizionario, esaustivamente numerabili: si può andare a capo
dell’enigma. Un’immagine è per sempre e definitivamente enigmatica. Ha tante
versioni potenziali quanti esseri umani, di cui nessuna può costituire
autorità, e quella dell’autore non più di qualsiasi altra. Polisemìa
inesauribile. Non si può fare ad un testo tutto quello che si vuole, ad
un’immagine si” (R. Debray - Vita e morte dell’immagine).
Pertanto un’opera d’arte
ci comunica si quello che l’autore cerca di esprimere ma, in modo particolare,
quello che noi con la nostra interiorità riusciamo a recepire. Il verbo
comunicare è molto importante perché l’uomo da sempre ha cercato di comunicare
con i suoi simili per lasciare una traccia di sé. Deriva dal latino communicatio ossia mettere in comune e
rappresenta un insieme di fenomeni che comportano la trasmissione, la distribuzione,
la condivisione d’informazioni, da un soggetto (donatore) ad un altro soggetto
(ricevente), entrambi influenzati dal contesto nel quale si trovano e dalla
percezione, attraverso un mezzo che è il linguaggio. La condizione essenziale,
senza la quale non possiamo avere comunicazione, è che il linguaggio usato sia
conosciuto da entrambe le parti. Deve quindi essere un linguaggio simbolico di
tipo universale, ossia facile da comprendere per tutti. L’utilizzo di un
linguaggio simbolico convenzionale infatti può essere compreso solo da coloro
che appartengono ad un determinato gruppo e quello accidentale è solo
individuale, dettato dalle esperienze soggettive. Pertanto queste due ultime
tipologie di linguaggio saranno comprensibili a tutti solo dopo averlo studiato
e capito. Il primo tipo di comunicazione per immagini lo troviamo
a partire dall’uomo delle caverne.
Pittura rupestre della grotta di Chauvet |
Importantissimi sono i ritrovamenti delle
pitture rupestri della grotta di Chauvet (rinvenuta nel 1994 in Francia) uno
dei più noti e importanti siti preistorici europei, ricco di testimonianze,
simboliche ed estetiche, del Paleolitico superiore (circa 2,5 milioni di anni
fa).
Da non perdere è il film-documentario "Cave of forgotten dreams" di
Werner Herzog (2014) in cui il regista s’interroga su che cosa ha spinto l’uomo
delle caverne a dipingere le prime immagini della storia dell’arte costituite
da ben caratterizzate e moderne raffigurazioni animali e umane, in un luogo
molto probabilmente dedicato a rituali e cerimonie. È il più antico esempio di
arte preistorica del mondo dove però si trovano segni di modernità quasi
incredibili (per esempio un bisonte che corre che fa immediatamente venire alla
mente il “Dinamismo di un cane al guinzaglio” del futurista Giacomo Balla -
1912).
G. Balla - Dinamismo di un cane al guinzaglio (1912)
Art Gallery di Buffalo
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Avanzando lungo il sentiero della storia si scopre come
in tutte le epoche l’uomo abbia utilizzato il muro come supporto per
l’espressione e la memoria della sua civiltà, dei suoi usi e costumi. Quello
che è cambiato, nel corso dei secoli, sono la tecnica, i soggetti ed il
messaggio. Si parla di affresco, ossia di metodo pittorico realizzato
utilizzando pigmenti colorati da mescolare con acqua, usati direttamente
sull’intonaco fresco che asciugandosi rende il colore permanente e resistente.
Già al tempo degli antichi greci e poi in maniera più ampia in epoca etrusca e
romana si usava questa tecnica. Famosissimi quelli della città di Pompei e
della Domus Aurea di Nerone a Roma. Quest’ultima rinvenuta nel 1481 fu una
grande e sconvolgente scoperta; le pareti sono decorate con raffigurazioni di esseri ibridi e mostruosi,
chimere, che si fondono in decorazioni geometriche e naturalistiche,
strutturate in maniera simmetrica. Le figure, molto colorate, vengono definite grottesche, che deriva da grotte, ed
influenzeranno tutta l’arte successiva alla loro scoperta. Anche
in età moderna il muro viene usato come mezzo espressivo (in questo contesto
anche come mezzo di denuncia), basti pensare ai famosi murales di Diego Rivera (1886-1957) che usa il
muro come mezzo per descrivere il malessere della società messicana del suo
tempo.
Diego Rivera - particolare di Storia del Messico (1929-1930)
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Ma anche il nostro contemporaneo Banksy il quale afferma che:
“Un muro è una
grande arma. È una delle cose peggiori con cui colpire qualcuno”. Come esempio delle sue opere cito Sweeper
(London, 2006). All’apparenza sembra solo una governante che spazza la polvere
sotto una tenda ma vuole dire moto di più. E’ una denuncia che l’autore porta
avanti nei confronti di coloro che vogliono nascondere, davanti all’evidenza,
un certo tipo di malessere sociale.
Banksy - Sweeper (London, 2006)
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In ogni modo il supporto più usato e comune
è la tela. Ma quale è la sua
origine come supporto pittorico?
Siamo alla metà-fine del 1400. I primi ad
usarla sembrano essere stati i fiamminghi che poi l’anno portata in Italia, a
Venezia. Grazie agli studi del critico Federico Zeri, si è riusciti a trovare
quella che è definita la prima tela ad olio italiana. Si tratta di Donato de’ Bardi e la Crocifissione (1450) esposta
nella Pinacoteca Civica di Savona. Il passaggio dal muro e dal
legno alla tela fu favorito da alcuni vantaggi: le tele risentono meno
dell’umidità, sono più facili da trasportare, occupano meno spazio e sono più
economiche.
Nel corso della storia tutto cambia, cambiano la forma, i soggetti, i contenuti e la stessa definizione di artista. La parola arte infatti deriva dal latino ars e dal greco teche. Era la capacità umana di agire e produrre basata su un complesso di regole, esperienze, procedimenti e metodi per fabbricare un oggetto. Inizialmente comprendeva quello che oggi definiamo artigianato e abilità manuale. L’artista era dunque associato all’artigiano.
Con il Rinascimento acquista una collocazione sociale fino ad arrivare, a metà del 1800, alla nascita dell’artista impegnato.
Questa nuova figura si deve grazie al pittore francese Gustave Courbet (appartenente al realismo francese insieme a Jean-François Millet e Honoré Daumier) che nel 1851 dipinge un quadro che ha segnato l’inizio della storia dell’arte moderna. Mi riferisco a “Funerale a Ornans” (Museo d’Orsay, Parigi), dipinto che modifica completamente il modo di fare pittura. Con quest’opera, infatti, l’autore pone in primo piano e soprattutto sullo stesso piano clero, borghesia, popolo e persino un cane, scontrandosi con il panorama artistico che, fino ad allora, considerava l’arte espressione eletta di fatti epici e maestosi. E’ proprio il contenuto ideologico della sua arte, caratterizzato dalla rappresentazione della realtà, come denuncia del malessere sociale, che fa delle opere di Courbet, il manifesto realista.
E’ un dipinto che segna una rottura con il passato.
L’autore fa parte del realismo pittorico francese pertanto viene descritta la realtà ma questo quadro è una denuncia verso la società a lui contemporanea e si allontana da quello che fino a questo momento è stato il modo di dipingere degli artisti. Tele cosi grandi era usate per realizzare, su commissione, quadri con soggetti mitologici, religiosi oppure la nobiltà ma lui compie una rivoluzione. Scomoda! Molte altre sue opere hanno questo significato come, una su tutte, “Gli spaccapietre” (1849), opera purtroppo andata distrutta durante la seconda guerra mondiale, che rappresenta al meglio la poetica dell’autore.
G. Courbet "Gli spaccapietre" (1849) |
Arte dunque. La sua definizione è variata nel passaggio da un periodo storico ad un altro, e da una cultura ad un’altra; il suo significato non è definibile in maniera univoca ed assoluta.
Dobbiamo considerare una cosa importante: arte moderna ed arte contemporanea, come devono essere classificate? Certamente la differenza riguarda il confine temporale e, benché ci siano varie correnti di pensiero, io distinguerei tra un’arte relativamente recente ma già storicizzata, se vogliamo conclusa, e una recente ma ancora in fase di elaborazione, sperimentazione e sviluppo. Pertanto possiamo semplificare, seppur tutt’altro che rigidamente, dicendo che la produzione artistica compresa tra la metà del 1800 e 1970 può essere definita arte moderna mentre si può parlare di arte contemporanea per quella successiva fino ad oggi, l’arte quindi che racconta dell’attualità e fa luce sugli aspetti della nostra vita e del nostro tempo. Da considerare che non si può comprendere la storia
dell'arte moderna e contemporanea senza conoscere il momento storico e
culturale nel quale nasce, si sviluppa e si modifica e non si dovrebbe
prescindere dal conoscere la storia dell’arte classica, quella antecedente,
poiché è importante capire quali sono le somiglianze e la diversità, le
contaminazioni e i punti di rottura.
Nel nostro percorso,
dobbiamo ricordare che nel 1800 viene inventata e si sviluppa
la fotografia, utilizzata inizialmente come una riproduzione della realtà attraverso
strumenti tecnici (motivo questo che ha fatto si che inizialmente non fosse
considerata Arte).
Joseph Nicéphore Niépce (1826 circa) |
La prima fotografia della Storia è di Joseph Nicéphore Niépce e viene scattata nel 1826 (forse 1827). Poiché il tempo di esposizione era molto lungo (8 ore) nella fotografia gli edifici sono illuminati dal sole sia da destra che da sinistra. In realtà questa non fu la prima. Nel 1816 Niépce ottenne la sua prima immagine fotografica (che ritraeva un angolo della sua stanza di lavoro) utilizzando un foglio di carta sensibilizzato, probabilmente, con cloruro d'argento. Questa tuttavia non poteva essere fissata permanentemente, cosa invece che gli riuscì nel 1826 utilizzando il Bitume di Giudea. Un’altra che segna la storia è di Louis Daguerre (siamo nel 1838, un anno prima che la fotografia fosse ufficialmente portata all’Accademia di Francia. Possiamo pertanto affermare che il 1839 sarà l’anno che ne segnerà la nascita ufficiale e la diffusione).
Louis Daguerre (1838) |
La prima in cui apparve un essere umano fu realizzata riprendendo Boulevard du Temple, a Parigi, nel 1838 dallo stesso Daguerre. L'esposizione durò circa 7 minuti e per questo motivo molte persone che sicuramente camminavano per strada non appaiono nella foto. Si possono osservare solo un lustrascarpe ed il suo cliente.
Da questo momento in poi la fotografia ha un’evoluzione ed una diffusione straordinarie ed oggi possiamo distinguerne diversi generi: ritratto, paesaggio, reportage, still life e concettuale.
Considerando questa nuova invenzione in grado di rappresentare fedelmente e facilmente la realtà che ci circonda, la pittura doveva trovare una sua nuova dimensione. Quello che tanto e con tanta difficoltà, prima della metà del 1800, si era ricercato viene abbandonato o modificato. Si fa a meno del naturalismo, del realismo e della mimesi (post-impressionismo, espressionismo, simbolismo), si elimina la prospettiva (cubismo), si rinnega il passato (futurismo), il valore dell’opera (dadaismo), la realtà (astrattismo), la forma (informale), fino ad arrivare a fare a meno dell’opera d’arte (arte concettuale).
Nelle prossime lezioni, vedremo, a cominciare dall’impressionismo, tutti questi movimenti e correnti artistiche fino a ritornare al figurativo moderno.
Questi post sono interessanti e di lettura piacevole. Un buon modo per parlare di storia dell'Arte.
RispondiEliminaAspetto con piacere il prossimo step.
Grazie! Presto si parlerà di impressionismo...
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaE a proposito di Impressionismo vi segnalo due eventi:
RispondiEliminaPresso il Museo di Santa Caterina a Treviso è stata prorogata fino al 1 maggio 2017 la mostra "Storie dell'impressionismo". I grandi protagonisti da Monet a Renoir, da Van Gogh a Gauguin.
Per la serie film-documentario che riguardano l'arte, solo il 14-15 febbraio al cinema "Io, Claude Monet" un film di Phil Gragsky.