lunedì 20 febbraio 2017

Tina Modotti

La prima donna di cui scriverò è Tina Modotti e l’input mi è dato dal fatto che è un’artista ed una figura femminile che mi piace molto per il suo carattere carismatico e forte, per la sua intelligenza e la sua libertà. Inoltre proprio in questi giorni ci saranno spettacoli a teatro e programmi culturali alla televisione che ne parleranno. Molte le mostre a lei dedicate ed i libri che descrivono la sua vita privata, artistica e politica.

Tina Modotti (Udine 1896 - Citta' del Messico 1942) è una delle donne importanti nel panorama artistico della prima metà del 1900. Bella, brava, forte, libera, intelligente, carismatica, passionale. Una vita, la sua, tormentata e movimentata. Attrice, militante comunista e fotografa, ritrae la vita del popolo ponendo l'accento sul dolore e le ingiustizie. Nel 1913, dalla sua città natale, si trasferisce con la famiglia negli Stati Uniti (a San Francisco) e nel 1920 interpreta alcuni film a Hollywood. Ma presto abbandona la carriera da attrice per dedicarsi alla fotografia, la sua prima mostra nel 1924. L'incontro con Edward Weston, con il quale è legata da una relazione sentimentale, e la permanenza in Messico saranno fondamentali per la sua carriera come fotografa. Il clima politico e culturale post-rivoluzionario, l'incontro con grandi pittori muralisti del calibro di Diego Rivera (attivo anche dal punto di vista politico), con Vittorio Vidali (rivoluzionario italiano), l'amicizia con la pittrice Frida Kahlo, le molte e travagliate storie d'amore e la sua partecipazione alla vita politica del paese saranno gli spunti per la sua poetica e la sua espressività. Nel corso degli anni trasforma il suo modo di fare fotografia passando dall'attenzione verso la natura (molte le sue fotografie di fiori) all'utilizzo del mezzo fotografico come strumento di indagine e denuncia politico-sociale, pur mantenendo un equilibrio estetico. Sempre attiva politicamente e socialmente, dopo essere stata accusata (nel 1929) della morte del suo compagno di allora, il rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella, si trasferisce in Russia (a Mosca dove vive fino al 1935) e poi viaggia tra Varsavia, Berlino, Vienna, la Spagna (teatro della guerra civile che scoppia nel 1936 in cui le, ancora una volta, parteciperà in prima linea e produrrà molta documentazione fotografica) e infine Parigi. Nella notte del 5 gennaio 1942, viene colpita da infarto mentre si trovava dentro un taxi a Città del Messico, e la stampa reazionaria e scandalistica cerca di trasformare la sua morte in un delitto politico attribuendo la responsabilità a Vittorio Vidali.
Ponendo l’attenzione alla sua fotografia mi piace citare le sue stesse parole, che meglio raccontano di qualunque altra descrizione il suo pensiero: “Desidero fotografare ciò che vedo, sinceramente, direttamente, senza trucchi, e penso che possa essere questo il mio contributo a un mondo migliore […] Sempre, quando le parole “arte” o “artistico” vengono applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo. Questo è dovuto sicuramente al cattivo uso e abuso che viene fatto di questi termini. Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente che io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni. La maggior parte dei fotografi vanno ancora alla ricerca dell'effetto “artistico”, imitando altri mezzi di espressione grafica. Il risultato è un prodotto ibrido che non riesce a dare al loro lavoro le caratteristiche più valide che dovrebbe avere: la qualità fotografica”.

Calle (1924)
L’incontro con il fotografo statunitense Edward Weston da cui apprende le basi della fotografia, è certamente fondamentale ma la sua sensibilità la porta ben presto a sviluppare un suo stile in cui l’estetica, il rigore formale e il contenuto sono ben armonizzati. Sia nel ritratto che nel reportage si amalgamano la qualità dell’immagine e l’ideologia. Quest’ultima ben definita con l’esaltazione dei simboli del popolo e dell’uomo che lavora, con particolare attenzione alla donna lavoratrice. I suoi soggetti sono presi per strada per esaltarne la realtà e per cercare le tracce della rivoluzione (non si può nascondere il carattere propagandistico di queste fotografie che trasmettono un messaggio sociale chiaro). Mali della società e voglia di riscatto. Fotografa mani segnate dalla fatica, manifestazioni politiche e sindacali, falci, martelli e bandiere. Simboli di lavoro e di lotta. Contadini e operai che leggono El Machete (la rivista degli artisti della Rivoluzione, che è diventato giornale del partito); ritrae donne e bambini che lavorano. Le sue fotografie sono caratterizzate da un’impostazione geometrica, simmetrica ed equilibrata, con tagli prospettici particolari e bianchi e neri pastosi. 

Donne di Tehuantepec (1929)
Bambina che porta acqua (1928)










Sepolta nel Pantheon de Dolores (Città del Messico), sull’epitaffio della sua tomba sono scritti i primi versi della poesia di Pablo Neruda a lei dedicata“Tina Modotti hermana, no duermes no, no duermes talvez tu corazon oye crecer la rosa de ayer la ultima rosa de ayer la nueva rosa descansa dulcemente hermana. Puro es tu dulce nombre pure es tu fragil vida de abeja sombra fuego nieve silencio espuma de acero linea polen se construyo tu ferrea tu delgada estructura” 

Falce pannocchia cartuccera (1927)
(“Tina Modotti, sorella non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa. Riposa dolcemente sorella. Sul gioiello del tuo corpo addormentato ancora protende la penna e l’anima insanguinata come se tu potessi, sorella, risollevarti e sorridere sopra il fango”).

Mani di operaio (1927)
Campesinos alla parata del Primo Maggio (1926)
Giovani miliziani (Berlino 1930)

Miliziani (Spagna 1936)

1 commento:

  1. Ancora una cosa per chi fosse interessato.
    Domani martedì 21 febbraio alle ore 21:10 un documentario riguardante Tina Modotti (ecco il link con i dettagli):
    http://www.artemagazine.it/rss/item/3632-rai-storia-tina-modotti-una-vita-in-scena

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