martedì 14 febbraio 2017

A proposito di "cosa vediamo quando guardiamo". Una fotografia di Gregory Crewdson

Nel 1600-1602, colui che è considerato uno dei più famosi drammaturghi di tutti i tempi scrive la tragedia Amleto. Il titolo completo in inglese è "The tragical history of Hamlet, prince of Denmark" e l’autore, che non ha bisogno di presentazioni, si chiama William Shakespeare. Vorrei soffermare la mia attenzione riguardo a una delle protagoniste femminili di quest’opera: Ofelia. Giovane, bella e fragile deve confrontarsi con l’amore per Amleto e la devozione verso il padre Polonio. Il susseguirsi delle vicende (il rifiuto dell’amato e la morte del padre) la porterà a conseguenze nefaste. Follia e suicidio. Terminerà la sua tormentata vita affogandosi per imprudenza e sventura in un corso d’acqua.
Sarà Gertrude, madre di Amleto, ad avvertire suo fratello Laerte: “C'è un salice che cresce di traverso a un ruscello e specchia le sue foglie nella vitrea corrente; qui ella venne, il capo adorno di strane ghirlande di ranuncoli, ortiche, margherite e di quei lunghi fiori color porpora che i licenziosi poeti bucolici designano con più corrivo nome ma che le nostre ritrose fanciulle chiaman "dita di morto"; ella lassù, mentre si arrampicava per appendere l'erboree sue ghirlande ai rami penduli, un ramo, invidioso, s'è spezzato e gli erbosi trofei ed ella stessa sono caduti nel piangente fiume. Le sue vesti, gonfiandosi sull'acqua, l'han sostenuta per un poco a galla, nel mentre ch'ella, come una sirena, cantava spunti d'antiche canzoni, come incosciente della sua sciagura o come una creatura d'altro regno e familiare con quell'elemento. Ma non per molto, perché le sue vesti appesantite dall'acqua assorbita, trascinaron la misera dal letto del suo canto a una fangosa morte.” (Atto IV scena VII).
Partendo da questa descrizione, oltreché dal nome della sventurata ragazza, non possiamo non ricordare un famoso quadro esposto alla Tate Gallery di Londra. Si tratta di Ophelia di Sir John Everett Millais, uno dei maggiori esponenti della Confraternita dei preraffaeliti (corrente artistica inglese nata nel 1848 e definibile come la conseguenza del romanticismo e la trasposizione pittorica del decadentismo). Dipinto tra il 1851 e il 1852 in due distinte fasi. La prima in cui viene raffigurato il paesaggio (lungo le sponde del fiume Hogsmill) “en plein air” mentre la seconda in cui è rappresentata la fanciulla. Quest’ultima parte è realizzata in studio usando come modella Elisabeth Siddal e facendola immergere in una tinozza con dell’acqua. Una particolarità: la forma della tela con i bordi superiori arrotondati è dovuta al fatto che inizialmente doveva essere usata come baldacchino.

 
Ophelia di Sir John Everett Millais (1851-1852)










Osservando il dipinto, luminoso e ricco di dettagli, notiamo immediatamente una folta vegetazione a fare da cornice ad un corpo di donna che sta sprofondando inerte nell’acqua. L’opera raffigura Ophelia da poco caduta nel ruscello. E’ distesa. Abbandonata. Senza forze. Senza paura. In silenzio la bocca socchiusa. Gli gli occhi aperti verso il cielo. Senza opporre resistenza. Sta sprofondando, come dimostrato dalla sottana che si gonfia verso l’alto, mentre il peso del corpo la porta sott’acqua. Morte liberatrice. Morte unica consolazione al dolore. Le mani sono aperte ed i fiori che prima teneva stretti, ora stanno scivolando via disperdendosi vicino a lei. Millais dona alla flora un evidente valore simbolico. Le specie floreali sono usate sia perché citate nella tragedia originale sia per il loro significato, certamente utilizzato per sottolineare la caducità della vita della sventurata. I ranuncoli nella parte inferiore del dipinto rappresentano l’ingratitudine e l’infantilità. Il salice piangente, vicino al suo corpo, indica il pianto di chi viene abbandonato dalla persona amata. Il dolore e la sofferenza sono dati dall’ortica sotto l’albero. Le margherite che le galleggiano accanto raffigurano l’innocenza. La rosa è la gioventù, la bellezza e l’amore. I nontiscordardimé al margine del fiume hanno senso nel loro nome. Le violette intorno al collo sono annunciatrici di una morte prematura. Il papavero è il sonno e la morte.
Ma c’è un altro autore, e questa volta si tratta di un fotografo contemporaneo, che ha titolato una sua opera Ophelia. Premetto una cosa. Tengo molto a questa fotografia. La prima volta che l’ho vista pochi giorni fa, non conoscevo né l’autore né tanto meno la fotografia, ma ne sono immediatamente rimasta colpita. E mi piacerebbe sapere da voi che leggerete la mia interpretazione, che cosa ne pensate. Lui è Gregory Crewdson, un fotografo statunitense nato a Brooklyn nel 1962. Geniale e visionario. Ogni sua fotografia richiede un’accurata e complicata messa in scena e composizione, come un set cinematografico in uno studio o in esterna, per poi ottenere quello scatto dall’atmosfera onirica, iperreale, tragica, poetica, che lascia a noi che “vediamo” la libera interpretazione per tentare di ricostruire quello che accade. In effetti, nelle sue fotografie il tempo sembra sospeso e, tra realtà e finzione, sembra che qualcosa sia accaduto o stia per accadere. Tutte le parti della scena e i dettagli sono nitidi e ben evidenti, in questo modo è difficile comprendere quale è il soggetto principale. Tutto si complica.

 
Ophelia Gregory Crewdson (2001)












Analizzando Ophelia (2001) siamo difronte ad una stanza completamente allagata con ben in evidenza una donna distesa nell’acqua, una scala, delle finestre e tanti oggetti. Quello che a me personalmente trasmette (ma è solo il mio parere, che può essere confutato da chiunque… proprio perché ognuno di noi può “vedere” in modo diverso, e nessuno sbaglia) è una rinascita. Mi spiego meglio. Appena ho visto questa fotografia ho immaginato un sogno e quello che ho visto è l’attesa della donna verso la rinascita, verso una vita nuova. Questo perché ho notato che il corpo non è immerso nell’acqua (come invece nell’Ophelia di Millais), è come se stesse venendo a galla. Gli occhi sono aperti ed il volto è lievemente girato verso l’osservatore, ci sta guardando. E poi acqua, simbolo di vita (io l’ho associata anche al liquido amniotico) e la luce, sia naturale che artificiale, presente nella stanza. Tanti oggetti tra i quali un orologio che indica il passare del tempo ovviamente fermo, perchè la fotografia l’ha bloccato in un istante. Un telefono che potrebbe squillare. Dei divani e molti altri oggetti. Una scala che può simboleggiare un tornare ed un andare, un uscire ed un entrare verso qualcosa di nuovo. Finestre e una porta (che forse subito non si nota) ed in ognuna di queste possibili vie di fuga c’è la luce. Luce che spesso indica una speranza, una possibilità, una rinascita appunto (si dice venire alla luce quando si nasce). Voi cosa ne pensate? Alcune persone con le quali ho discusso davanti a questa fotografia in qualche modo concordano con me. Altre (la maggior parte, a dire il vero), ci vedono la morte, un suicidio, un omicidio, un qualche brutto episodio avvenuto. Io non dico che non ci vedo qualcosa di tragico, anzi sicuramente c’è stato però è un avvenimento passato, accaduto prima della fotografia, infatti io non parlo di morte o di vita ma di attesa verso una rinascita… Aspetto un vostro giudizio, sono molto curiosa. Grazie.

2 commenti:

  1. Sono contenta di questo tuo intervento, anche perché l'autore che analizzi è tra i miei preferiti!
    Non è conosciutissimo e non sempre apprezzato, forse perché le sue particolari immagini, scattate con il banco ottico e stampate dopo una serie meticolosa di interventi in post produzione, hanno una sorta di aurea algida complicata da penetrare.
    In realtà ogni immagine è un universo di vite, sentimenti e drammi, non per nulla è proprio lui che dice che tutte le persona hanno segreti e i segreti non ti rendono felici.
    La tua interpretazione è tua e, quindi, assolutamente rispettabile. Volendo giocare con le parole potremmo dire che questa Ofelia si trova ad un "Capolinea", come tutti noi, prima o poi.
    E' questa la grande fascinazione delle immagine di D.C., offrire immagini che, seppur raggelanti, offrono tantissime possibilità di lettura, proprio perché la stratificazione offre innumerevoli spunti e suggerimenti.
    Suggerisco la visione del film/documentario, L'attimo perfetto, dove lui stesso si racconta e mostra il set, quasi cinematografico, dove le opere nascono.
    Una buona lezione di fotografia e, fondamentale, una grande umanità.
    Isabella Tholozan

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  2. Carissima Isabella, grazie per il tuo commento. Sicuramente guardero' il film-documentario che mi suggerisci. Come dicevo l'ho conosciuto da poco e sto cercando di studiare la sua poetica ed il suo modo di fare fotografia. In ogni modo e' un autore che, da quello che ho potuto vedere e capire, mi piace molto. Ti faro' sapere, dopo aver visto il film, i miei commenti e le mie sensazioni. Il tema del "Capolinea" e' di sicuro molto interessante ed un tema da sviluppare... A presto

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