Partiamo da un oggetto. Un oggetto comune, apparentemente
semplice, ma che è in grado di svelare e rivelare, riflettere, ingannare,
duplicare e deformare. E per tutte queste sue caratteristiche può essere
considerato un simbolo, una metafora. Possiamo dargli un significato concreto
ma anche psicologico. Partiamo dallo specchio. Da sempre ha stimolato
l’immaginario umano ed ha fatto parte delle credenze popolari. L’hanno usato
gli scrittori: la storia di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll,
la favola di Cenerentola, i romanzi di Pirandello. Ma anche i pittori ed i
fotografi. Basti pensare al mito di Narciso dipinto tra gli altri da Caravaggio
(“Narciso” 1597-1599) e Salvador Dalì (“Metamorfosi di Narciso” 1936-1937).
Caravaggio Narciso (1597-1599) |
Salvador Dalì Metamorfosi di Narciso (1936-1937) |
Assolutamente da nominare: il “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Jan Van Eyck (1434) e “Il cambiavalute e la moglie” di Quentin Massys (1514) dove in entrambi i casi piccoli specchi ci rivelano parti nascoste della scena. Lo stesso vale per “Las Meninas” (1656) di Diego Velazquez: ritratto della famiglia del re di Spagna raffigura lo stesso pittore ed alcune persone vicine ai sovrani che ci appaiono nello specchio. Non appaiono direttamente nella scena bensì posizionati come se fossero gli spettatori; in effetti l’osservatore non può vedere se stesso se non come riflesso; si trovano nella nostra stessa posizione mentre guardiamo questo dipinto (o qualsiasi altro). Sempre Diego Velazquez con lo stesso gioco, nel dipinto “Venere allo specchio” (1650), ci permette di ammirarne il viso della sensuale donna che altrimenti non si potrebbe vedere perché ritratta di schiena.
Jan Van Eyck Ritratto dei coniugi Arnolfini (1434) |
Quentin Massys Il cambiavalute e la moglie (1514) |
Diego Velazquez Las Meninas (1656) |
Diego Velazquez Venere allo specchio (1650) |
Ma anche Artemisia
Gentileschi, che si ritrae nella “Conversione della Maddalena” (1617-1620),
inserisce uno specchio nel dipinto. In questo caso l’oggetto viene quasi
coperto con la mano della figura femminile che lo allontana da se; inoltre,
degno di nota, non è ben visibile quello che vi si riflette sulla superfice.
Un'altra Maddalena, e mi riferisco alla “Maddalena penitente” (1639-1643) di
Georges de La Tour, tenendo in grembo un teschio, guarda lo specchio dove si
riflette chiaramente una candela accesa, ed ecco il rapporto e la dicotomia tra
morte e vita. Interessante la “Vanitas” di Bernardo Strozzi (1637 circa) che
con quest’opera parla di debolezze umane. E lo fa usando come soggetto una
donna che si specchia. Ma questa donna, che vorrebbe ancora essere bella, ha i
capelli bianchi, la pelle avvizzita, le rughe, i seni cadenti perché è una
vecchia, inconsapevole o non curante della propria età, che così appare
vanitosa, ridicola e lussuriosa. In tale contesto lo specchio rappresenta la vanitas ed anche la veritas poiché nell’immagine riflessa c’è la ricerca della
bellezza ma si trova solo la realtà. Un segno con duplice significato: da un
lato inganna perché seduce colei che si guarda, dall'altro dice la verità
perché riflette sempre ciò che è. Procedendo lungo il corso della storia
dell’arte, il pre-impressionista Édouard Manet usa lo specchio nel famosissimo
dipinto “Il bar delle Folies-Bergère” (1881-1882) per permetterci di vedere una
scena più allargata.
Artemisia Gentileschi Conversione della Maddalena (1617-1620) |
Georges de La Tour Maddalena penitente (o Maddalena allo specchio) 1639-1643 |
Bernardo Strozzi Vanitas (La vecchia civetta) 1635 |
Édouard Manet Il bar delle Folies-Bergère (1881-1882) |
Completamente differente l’uso che ne fa Francis Bacon nel
“Ritratto di George Dyer allo specchio” (1968): deformazione ed imbruttimento è
quello che ne deriva ed il significato è chiaramente simbolo della parte più
intima, più segreta della sfera interiore. Con il dipinto “I giorni dorati” di
Balthus (1944–1946) ancora parliamo d’inconscio e della sua analisi:
l’atteggiamento della ragazza adolescente ed il suo rapporto di sguardi con lo
spettatore (ossia noi) e con lo specchio la dicono lunga. Degna di nota è Frida
Kahlo che ha iniziato ad autoritrarsi durante la malattia, che l’ha costretta
immobile a letto, proprio usando uno specchio.
Balthus I giorni dorati (1944–1946) |
Frida Kahlo (1951) |
Tra i fotografi: Lady Clementina
Hawarden ritrae Clementina Maude (1862-1863) mentre si specchia. Nel 1932
Brassaï fotografa persone nei caffè parigini e due famosi scatti sono: “Couple
d’amoureux dans un petit café” (1932) e “Groupe joyeux au bal musette des
Quatre-Saisons”; in entrambi i casi, lo specchio amplia il nostro punto di
vista.
Lady Clementina Hawarden Clementina Maude (1862-1863) |
Brassai (1932) |
Brassai (1932) |
Interessante e particolare “The body: photographs of the human form” (1937) di Herbert List, fotografo metafisico e surreale, che costruisce un corpo usando al posto del viso proprio uno specchio. Nella fotografia “Il
ragazzo e lo specchio deformante” (1960) di John Chillingworth già dal titolo
si comprende come lo specchio sia usato per descrivere la deformazione che
ritroviamo anche nella foto-sequenza “Dr Heisenberg's Magic Mirror of
Uncertainty” (1998) di Duane Michals: “Odette non può mai sapere con alcuna
certezza quale immagine di sè vedrà riflessa nello specchio” e in questo
caso ne sono state catturate sei. Viene raccontata una storia in cui la modella
tenta di riconoscersi, ma vede nuovi e sconosciuti lati del suo viso, scoprendo
altre dimensioni di sè. Incertezza, rivelazione e scoperta. Come lo stesso
autore scrive nell’ultimo scatto: “L’incertezza permette qualsiasi cosa e
qualunque cosa”. Chi ha usato in molte delle sue fotografie lo specchio è,
senza dubbio, Francesca Woodman: “Self deceit 1, Roma” (1978) - che
letteralmente vuol dire autoinganno, illusione - e “Untitled, Providence, Rhode
Island” (1976) sono due esempi in cui lei si autoritrae parzialmente riflessa.
Una presenza. Come il suo, il nostro inconscio. Luogo dove tutto c’è ma è
oscuro e non si vede facilmente.
Herbert List The Body Photographs of the Human Form (1937) |
John Chillingworth Il ragazzo e lo specchio deformante (1960) |
Duane Michals Dr Heisenberg's Magic Mirror of Uncertainty (1998) |
Francesca Woodman Self deceit 1 Roma (1978) |
In questo breve excursus non possiamo non
citare Vivian Maier (anche lei scatta molti autoritratti usando specchi e
oggetti riflettenti di vario genere) con “Autoritratto” (giugno 1953). E poi
Elliott Erwitt con “Paris” (1958) dove la scena è composta da un panorama con un edificio sullo sfondo, un parco ed una donna rivolta di schiena che,
tenendo in mano uno specchio, rivela se stessa. Risale al 1977 lo scatto di
Philippe Morillon che ritrae Andy Warhol che sorregge ben tre specchi
mostrandoci i vari lati del suo volto. Come vari sono le nostre sfaccettature.
Per dirla alla Pirandello, tutti siamo “uno, nessuno e centomila”. Un
auto-ritratto di Henri Cartier-Bresson mentre si ritrae in un dipinto. E per
concludere, in una carrozza di un treno, Ferdinando Scianna ci descrive una
coppia di “Innamorati in viaggio” (1991).
Vivia Maier Autoritratto giugno (1953) |
Elliott Erwitt Paris (1958) |
Philippe Morillon Andy Warhol (1977) |
Henri Cartier-Bresson Autoritratto (1992) |
Ferdinando Scianna Innamorati in viaggio (1991) |
In una sua celebre frase
afferma: “Si può mentire con le fotografie. Si può persino dire la verità,
per quanto ciò sia estremamente difficile. Il luogo comune vuole che la
fotografia sia specchio del mondo ed io credo occorra rovesciarlo: il mondo è
lo specchio del fotografo”.
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