lunedì 22 maggio 2017

Un oggetto dai vari significati...


Partiamo da un oggetto. Un oggetto comune, apparentemente semplice, ma che è in grado di svelare e rivelare, riflettere, ingannare, duplicare e deformare. E per tutte queste sue caratteristiche può essere considerato un simbolo, una metafora. Possiamo dargli un significato concreto ma anche psicologico. Partiamo dallo specchio. Da sempre ha stimolato l’immaginario umano ed ha fatto parte delle credenze popolari. L’hanno usato gli scrittori: la storia di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, la favola di Cenerentola, i romanzi di Pirandello. Ma anche i pittori ed i fotografi. Basti pensare al mito di Narciso dipinto tra gli altri da Caravaggio (“Narciso” 1597-1599) e Salvador Dalì (“Metamorfosi di Narciso” 1936-1937). 

Caravaggio Narciso
(1597-1599)
Salvador Dalì
Metamorfosi di Narciso (1936-1937)




Assolutamente da nominare: il “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Jan Van Eyck (1434) e “Il cambiavalute e la moglie” di Quentin Massys (1514) dove in entrambi i casi piccoli specchi ci rivelano parti nascoste della scena. Lo stesso vale per “Las Meninas” (1656) di Diego Velazquez: ritratto della famiglia del re di Spagna raffigura lo stesso pittore ed alcune persone vicine ai sovrani che ci appaiono nello specchio. Non appaiono direttamente nella scena bensì posizionati come se fossero gli spettatori; in effetti l’osservatore non può vedere se stesso se non come riflesso; si trovano nella nostra stessa posizione mentre guardiamo questo dipinto (o qualsiasi altro). Sempre Diego Velazquez con lo stesso gioco, nel dipinto “Venere allo specchio” (1650), ci permette di ammirarne il viso della sensuale donna che altrimenti non si potrebbe vedere perché ritratta di schiena. 

Jan Van Eyck
Ritratto dei coniugi Arnolfini
(1434) 

 Quentin Massys
 Il cambiavalute e la moglie (1514)

Diego Velazquez
Las Meninas (1656)

Diego Velazquez
Venere allo specchio (1650)























Ma anche Artemisia Gentileschi, che si ritrae nella “Conversione della Maddalena” (1617-1620), inserisce uno specchio nel dipinto. In questo caso l’oggetto viene quasi coperto con la mano della figura femminile che lo allontana da se; inoltre, degno di nota, non è ben visibile quello che vi si riflette sulla superfice. Un'altra Maddalena, e mi riferisco alla “Maddalena penitente” (1639-1643) di Georges de La Tour, tenendo in grembo un teschio, guarda lo specchio dove si riflette chiaramente una candela accesa, ed ecco il rapporto e la dicotomia tra morte e vita. Interessante la “Vanitas” di Bernardo Strozzi (1637 circa) che con quest’opera parla di debolezze umane. E lo fa usando come soggetto una donna che si specchia. Ma questa donna, che vorrebbe ancora essere bella, ha i capelli bianchi, la pelle avvizzita, le rughe, i seni cadenti perché è una vecchia, inconsapevole o non curante della propria età, che così appare vanitosa, ridicola e lussuriosa. In tale contesto lo specchio rappresenta la vanitas ed anche la veritas poiché nell’immagine riflessa c’è la ricerca della bellezza ma si trova solo la realtà. Un segno con duplice significato: da un lato inganna perché seduce colei che si guarda, dall'altro dice la verità perché riflette sempre ciò che è. Procedendo lungo il corso della storia dell’arte, il pre-impressionista Édouard Manet usa lo specchio nel famosissimo dipinto “Il bar delle Folies-Bergère” (1881-1882) per permetterci di vedere una scena più allargata. 

Artemisia Gentileschi
Conversione della Maddalena
(1617-1620)
Georges de La Tour
Maddalena penitente
(o Maddalena allo specchio)
1639-1643
Bernardo Strozzi
Vanitas (La vecchia civetta)
1635

Édouard Manet
Il bar delle Folies-Bergère
(1881-1882)

















Completamente differente l’uso che ne fa Francis Bacon nel “Ritratto di George Dyer allo specchio” (1968): deformazione ed imbruttimento è quello che ne deriva ed il significato è chiaramente simbolo della parte più intima, più segreta della sfera interiore. Con il dipinto “I giorni dorati” di Balthus (1944–1946) ancora parliamo d’inconscio e della sua analisi: l’atteggiamento della ragazza adolescente ed il suo rapporto di sguardi con lo spettatore (ossia noi) e con lo specchio la dicono lunga. Degna di nota è Frida Kahlo che ha iniziato ad autoritrarsi durante la malattia, che l’ha costretta immobile a letto, proprio usando uno specchio. 

Balthus
I giorni dorati (1944–1946) 
Frida Kahlo (1951)












Tra i fotografi: Lady Clementina Hawarden ritrae Clementina Maude (1862-1863) mentre si specchia. Nel 1932 Brassaï fotografa persone nei caffè parigini e due famosi scatti sono: “Couple d’amoureux dans un petit café” (1932) e “Groupe joyeux au bal musette des Quatre-Saisons”; in entrambi i casi, lo specchio amplia il nostro punto di vista. 

Lady Clementina Hawarden
Clementina Maude
(1862-1863) 
Brassai  (1932)
Brassai  (1932)























Interessante e particolare “The body: photographs of the human form” (1937) di Herbert List, fotografo metafisico e surreale, che costruisce un corpo usando al posto del viso proprio uno specchio. Nella fotografia “Il ragazzo e lo specchio deformante” (1960) di John Chillingworth già dal titolo si comprende come lo specchio sia usato per descrivere la deformazione che ritroviamo anche nella foto-sequenza “Dr Heisenberg's Magic Mirror of Uncertainty” (1998) di Duane Michals: “Odette non può mai sapere con alcuna certezza quale immagine di sè vedrà riflessa nello specchio” e in questo caso ne sono state catturate sei. Viene raccontata una storia in cui la modella tenta di riconoscersi, ma vede nuovi e sconosciuti lati del suo viso, scoprendo altre dimensioni di sè. Incertezza, rivelazione e scoperta. Come lo stesso autore scrive nell’ultimo scatto: “L’incertezza permette qualsiasi cosa e qualunque cosa”. Chi ha usato in molte delle sue fotografie lo specchio è, senza dubbio, Francesca Woodman: “Self deceit 1, Roma” (1978) - che letteralmente vuol dire autoinganno, illusione - e “Untitled, Providence, Rhode Island” (1976) sono due esempi in cui lei si autoritrae parzialmente riflessa. Una presenza. Come il suo, il nostro inconscio. Luogo dove tutto c’è ma è oscuro e non si vede facilmente. 

Herbert List
The Body Photographs of the Human Form
(1937)
John Chillingworth
Il ragazzo e lo specchio deformante
(1960) 

Duane Michals
Dr Heisenberg's Magic Mirror of Uncertainty (1998) 

Francesca Woodman
Self deceit 1  Roma (1978)
























In questo breve excursus non possiamo non citare Vivian Maier (anche lei scatta molti autoritratti usando specchi e oggetti riflettenti di vario genere) con “Autoritratto” (giugno 1953). E poi Elliott Erwitt con “Paris” (1958) dove la scena è composta da un panorama con un edificio sullo sfondo, un parco ed una donna rivolta di schiena che, tenendo in mano uno specchio, rivela se stessa. Risale al 1977 lo scatto di Philippe Morillon che ritrae Andy Warhol che sorregge ben tre specchi mostrandoci i vari lati del suo volto. Come vari sono le nostre sfaccettature. Per dirla alla Pirandello, tutti siamo “uno, nessuno e centomila”. Un auto-ritratto di Henri Cartier-Bresson mentre si ritrae in un dipinto. E per concludere, in una carrozza di un treno, Ferdinando Scianna ci descrive una coppia di “Innamorati in viaggio” (1991).  

Vivia Maier
Autoritratto giugno (1953)

Elliott Erwitt
Paris (1958)

Philippe Morillon
Andy Warhol (1977)

Henri Cartier-Bresson
Autoritratto (1992)

Ferdinando Scianna
Innamorati in viaggio (1991) 


























In una sua celebre frase afferma: “Si può mentire con le fotografie. Si può persino dire la verità, per quanto ciò sia estremamente difficile. Il luogo comune vuole che la fotografia sia specchio del mondo ed io credo occorra rovesciarlo: il mondo è lo specchio del fotografo”.

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