martedì 2 maggio 2017

Tre donne e... la Body Art

La Body Art, movimento internazionale degli anni 60-70, prende le sue origini dall’arte concettuale ed è rappresentata da tutte le forme che usano il corpo come mezzo espressivo. Corpo che viene usato dall’artista, ossia corpo su cui compiere azioni oppure corpo che agisce esso stesso, ed è la causa di eventi. Gina Pane, artista Italo-Francese (1939-1990), idealista e femminista usa l’arte come forma di rivolta per i diritti umani e politici servendosi di tagli, ferite e sangue ma la sua azione va oltre l’autolesionismo. Da ricordare la performance dal titolo “Action escalade non-anesthésiée”. In questo caso l’azione performante consiste nel salire su una scala di metallo i cui pioli sono ricoperti di schegge taglienti che le feriscono mani e piedi durante la salita. Ogni scalino vuol dire forza di volontà nel non arrendersi e resistere superando il dolore fisico. Introduce in questo modo, nella sua arte, la presenza del sangue e della sofferenza, sangue e sofferenza presenti inevitabilmente in ogni guerra, compresa quella del Vietnam, a cui l’opera si riferisce. L’anno successivo le sue azioni iniziano a svolgersi davanti al pubblico. Nel 1973 ricordiamo “Sentimental action” quando vestita di bianco entra in scena con delle rose e prima si conficca le spine nel braccio sinistro e poi con una lametta si incide il palmo della mano a disegnare la rosa stessa. Ecco nuovamente i tagli, il dolore ed il sangue utilizzati questa volta per rivolgersi alle donne, per invitarle a riflettere sulla loro condizione sociale. Da ricordare e considerare sempre che l’arte va di pari passo con il periodo storico-politico… Sempre del 1973 “Action autoportrait” in cui si mescolano latte e sangue, due elementi centrali nella vita di una donna. Marina Abramović, artista di origine balcanica, di fama mondiale, nata nel 1946 a Belgrado e oggi trasferita a New York. Artista profonda e introspettiva, il suo scopo è scavare nelle sensazioni, nei pensieri, nei sentimenti, nella volontà, nella ragione e nell’istinto delle persone che assistono alla sua Arte usando corpo e mente. Ha consacrato il suo valore nel 1997 ricevendo il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia con la performance dal titolo “Balkan Baroque”. Per giorni vestita con una tunica bianca, seduta su un cumulo di ossa di animali, cantando canzoni tipiche della sua terra, munita di spazzola di ferro, gratta le ossa, una ad una, per ripulirle. Tutto simboleggia quello che ha rappresentato la guerra civile nell’ex-Jugoslavia terminata meno di due anni prima. Come al termine di una battaglia si possono ripulire i campi, le strade, le città dai resti, da quello che rimane, ma non si potrà mai dimenticare, così non si potrà mai ripulire la mente dal ricordo di quelle barbarie. In quest’opera durante la performance non c’è pericolo, non c’è tensione, non c’è autolesionismo, condizioni che sono presenti in “Rythm 10” (1973) quando ripropone il gioco del coltello: difronte a lei sono disposti in fila 10 coltelli (ripresentata in seguito con 20) con lama di diversa lunghezza ed un registratore a cassetta. Con il palmo della mano aperto, colpi di coltello vengono dati tra un dito e l’altro. Ogni volta che si ferisce deve cambiare coltello e così via via fino ad averli usati tutti. Al termine del primo giro, riavvolto il nastro, mentre riascolta la registrazione, cerca di ripercorrere esattamente lo stesso percorso seguendo i suoni, tagliandosi nello stesso momento e riemettendo gli stessi gemiti. In questo modo assistiamo ad una fusione tra passato e presente, significando che spesso la vita ci da una seconda possibilità per riparare agli errori ma spesso noi nel presente ripetiamo quelli già fatti. Molto interessante per la comprensione e lo studio dell’animo umano è “Rythm 0” presentato a Napoli nel 1975. In questo caso la Abramović rimane immobile, per sei lunghe e difficili ore, vicino ad un tavolo su cui sono appoggiati 72 oggetti in ordine sparso, tra i quali zucchero, miele, uva, una rosa, un rossetto, un libro, un profumo, aghi, forbici ed una pistola con un solo colpo in canna. Le istruzioni per il pubblico erano quelle che chiunque poteva fare su di lei quello che meglio credeva usando uno degli oggetti. E’ stata spogliata, punta, usata come una lavagna su cui scrivere parole. Gli oggetti usati sul suo corpo divenuto esso stesso oggetto, sono stai usati in maniera diversa a seconda di chi voleva farle “bene” e chi “male”. Lei, lo sguardo fisso e perso nel vuoto, ha sofferto. La performance ha avuto l’apice nel momento in cui ha rischiato la vita dopo che uno dei partecipanti le ha puntato la pistola addosso. Tale performance ha messo in evidenza le diverse sfaccettature dell’animo umano difronte alla possibilità di agire senza barriere e senza inibizioni dimostrando come fa parte di noi il lato più aggressivo, malvagio e oscuro, spesso mascherato o inibito. E’ fondamentale per quest’artista comprendere le reazioni del pubblico durante una performance, scavare nell’animo umano, e il culmine di questa ricerca avviene nel 2010 al Moma di New York con “The artist is present”. La scena è dominata da lei al centro di una stanza con un lungo abito rosso, un tavolino (che poi è stato eliminato per volere dell’artista che ha dichiarato di non volere oggetti) e difronte a lei una seconda sedia vuota. Seduta, immobile in silenzio per tre mesi otto ore al giorno. Fisicamente un lavoro impegnativo ma psicologicamente ancor di più. Le moltissime persone che si sono susseguite e sono state difronte a lei hanno comunicato solo con lo sguardo, in silenzio e questo ha dato la possibilità alle due parti di trovare nuovi modi per comunicare e conoscersi anche in assenza di parole ma solo attraverso una connessione diretta di emozioni. Molti altri sono i suoi lavori - in cui supera i suoi limiti fisici e psicologici - da sola ma anche insieme al compagno Ulay. Ana Mendieta nata a L’Avana nel 1948. La sua arte è fortemente radicata nella storia personale, condizionata dalla storia di Cuba. Adolescente viene allontanata dalla patria a causa di questioni politiche-sociali. A New York troverà la morte, prematura, nel 1985, causata da una sospetta caduta dal piano alto di un grattacielo. I quattordici anni di attività, iniziati nel 1972, sono brevi ma molto intensi e ricchi. Lo sradicamento dalla sua terra madre è il fulcro della ricerca. Ricopre il suo corpo di foglie, terra, sabbia, lo brucia, lo fa trasportare dalla corrente dell’acqua, tutto questo per farlo diventare un tutt’uno con la natura e la terra a lei cara. Anche la condizione della donna è importante e quindi ripropone scene di stupri e di violenze.

Gina Pane
Marina Abramovic 
Ana Mendieta

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