La Body Art, movimento internazionale
degli anni 60-70, prende le sue origini dall’arte concettuale ed è
rappresentata da tutte le forme che usano il corpo come mezzo espressivo. Corpo
che viene usato dall’artista, ossia corpo su cui compiere azioni oppure corpo
che agisce esso stesso, ed è la causa di eventi. Gina Pane, artista Italo-Francese (1939-1990), idealista e
femminista usa l’arte come forma di rivolta per i diritti umani e politici
servendosi di tagli, ferite e sangue ma la sua azione va oltre l’autolesionismo.
Da ricordare la performance dal titolo “Action escalade non-anesthésiée”. In
questo caso l’azione performante consiste nel salire su una scala di metallo i
cui pioli sono ricoperti di schegge taglienti che le feriscono mani e piedi
durante la salita. Ogni scalino vuol dire forza di volontà nel non arrendersi e
resistere superando il dolore fisico. Introduce in questo modo, nella sua arte,
la presenza del sangue e della sofferenza, sangue e sofferenza presenti
inevitabilmente in ogni guerra, compresa quella del Vietnam, a cui l’opera si
riferisce. L’anno successivo le sue azioni iniziano a svolgersi davanti al
pubblico. Nel 1973 ricordiamo “Sentimental action” quando
vestita di bianco entra in scena con delle rose e prima si conficca le spine
nel braccio sinistro e poi con una lametta si incide il palmo della mano a
disegnare la rosa stessa. Ecco nuovamente i tagli, il dolore ed il sangue
utilizzati questa volta per rivolgersi alle donne, per invitarle a riflettere
sulla loro condizione sociale. Da ricordare e considerare sempre che l’arte va
di pari passo con il periodo storico-politico… Sempre del 1973 “Action
autoportrait” in cui si mescolano latte e sangue, due elementi centrali nella
vita di una donna. Marina Abramović, artista di origine balcanica, di fama mondiale, nata nel 1946 a
Belgrado e oggi trasferita a New York. Artista profonda e introspettiva,
il suo scopo è scavare nelle sensazioni, nei pensieri, nei sentimenti, nella
volontà, nella ragione e nell’istinto delle persone che assistono alla sua Arte
usando corpo e mente. Ha consacrato il
suo valore nel 1997 ricevendo il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia con la
performance dal titolo “Balkan Baroque”. Per giorni vestita con una tunica
bianca, seduta su un cumulo di ossa di animali, cantando canzoni tipiche della
sua terra, munita di spazzola di ferro, gratta le ossa, una ad una, per
ripulirle. Tutto simboleggia quello che ha rappresentato la guerra civile
nell’ex-Jugoslavia terminata meno di due anni prima. Come al termine di una
battaglia si possono ripulire i campi, le strade, le città dai resti, da quello
che rimane, ma non si potrà mai dimenticare, così non si potrà mai ripulire la
mente dal ricordo di quelle barbarie. In quest’opera durante la performance non
c’è pericolo, non c’è tensione, non c’è autolesionismo, condizioni che sono
presenti in “Rythm 10” (1973) quando ripropone il gioco del coltello: difronte
a lei sono disposti in fila 10 coltelli (ripresentata in seguito con 20) con
lama di diversa lunghezza ed un registratore a cassetta. Con il palmo della
mano aperto, colpi di coltello vengono dati tra un dito e l’altro. Ogni volta
che si ferisce deve cambiare coltello e così via via fino ad averli usati
tutti. Al termine del primo giro, riavvolto il nastro, mentre riascolta la
registrazione, cerca di ripercorrere esattamente lo stesso percorso seguendo i
suoni, tagliandosi nello stesso momento e riemettendo gli stessi gemiti. In
questo modo assistiamo ad una fusione tra passato e presente, significando che
spesso la vita ci da una seconda possibilità per riparare agli errori ma spesso
noi nel presente ripetiamo quelli già fatti. Molto interessante per la
comprensione e lo studio dell’animo umano è “Rythm 0” presentato a Napoli nel
1975. In questo caso la Abramović rimane immobile, per sei lunghe e difficili
ore, vicino ad un tavolo su cui sono appoggiati 72 oggetti in ordine sparso,
tra i quali zucchero, miele, uva, una rosa, un rossetto, un libro, un profumo,
aghi, forbici ed una pistola con un solo colpo in canna. Le istruzioni per il
pubblico erano quelle che chiunque poteva fare su di lei quello che meglio
credeva usando uno degli oggetti. E’ stata spogliata, punta, usata come una
lavagna su cui scrivere parole. Gli oggetti usati sul suo corpo divenuto esso
stesso oggetto, sono stai usati in maniera diversa a seconda di chi voleva
farle “bene” e chi “male”. Lei, lo sguardo fisso e perso nel vuoto, ha
sofferto. La performance ha avuto l’apice nel momento in cui ha rischiato la
vita dopo che uno dei partecipanti le ha puntato la pistola addosso. Tale
performance ha messo in evidenza le diverse sfaccettature dell’animo umano
difronte alla possibilità di agire senza barriere e senza inibizioni
dimostrando come fa parte di noi il lato più aggressivo, malvagio e oscuro,
spesso mascherato o inibito. E’ fondamentale per quest’artista comprendere le
reazioni del pubblico durante una performance, scavare nell’animo umano, e il
culmine di questa ricerca avviene nel 2010 al Moma di New York con “The artist
is present”. La scena è dominata da lei al centro di una stanza con un lungo
abito rosso, un tavolino (che poi è stato eliminato per volere dell’artista che
ha dichiarato di non volere oggetti) e difronte a lei una seconda sedia vuota.
Seduta, immobile in silenzio per tre mesi otto ore al giorno. Fisicamente un
lavoro impegnativo ma psicologicamente ancor di più. Le moltissime persone che
si sono susseguite e sono state difronte a lei hanno comunicato solo con lo
sguardo, in silenzio e questo ha dato la possibilità alle due parti di trovare
nuovi modi per comunicare e conoscersi anche in assenza di parole ma solo
attraverso una connessione diretta di emozioni. Molti altri sono i suoi lavori
- in cui supera i suoi limiti fisici e psicologici - da sola ma anche insieme
al compagno Ulay. Ana Mendieta nata a L’Avana nel 1948. La sua arte è
fortemente radicata nella storia personale, condizionata dalla storia di Cuba.
Adolescente viene allontanata dalla patria a causa di questioni
politiche-sociali. A New York troverà la morte, prematura, nel 1985, causata da
una sospetta caduta dal piano alto di un grattacielo. I quattordici anni di
attività, iniziati nel 1972, sono brevi ma molto intensi e ricchi. Lo
sradicamento dalla sua terra madre è il fulcro della ricerca. Ricopre il suo
corpo di foglie, terra, sabbia, lo brucia, lo fa trasportare dalla corrente
dell’acqua, tutto questo per farlo diventare un tutt’uno con la natura e la
terra a lei cara. Anche la condizione della donna è importante e quindi
ripropone scene di stupri e di violenze.
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Gina Pane |
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Marina Abramovic |
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Ana Mendieta |
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