mercoledì 12 aprile 2017

Il realismo magico di Frida Kahlo


Ritratto come una Tehuana
(o Diego nel mio pensiero)  
1943
Autoritratto seduta sul letto 
(o io e la mia bambola) 
1937
Autoritratto
al confine tra Messico e Stati Uniti
(1932)












Bella ed affascinante perché intensa. E un’artista importante nel corso della metà del XX secolo quando la scena era occupata soprattutto da figure maschili e le donne erano davvero poche. Questo è indice della grande personalità e forza di questa donna. Oggi e negli ultimi anni l’apprezzamento per la sua pittura è aumentato e la sua notorietà ha fatto crescere il numero di mostre. Le sono stati dedicati anche due film, molti libri e la canzone dei Coldplay “viva la vida” è ispirata al suo ultimo quadro, dipinto 8 giorni prima della morte, dove troviamo scritta questa celebre frase. Frida Kahlo (all’anagrafe Magdalena Carmen Frieda Kahlo y Calderón) nasce in Messico nella delegazione di Coyoacán nel 1907 (le piaceva far credere di essere nata nel 1910, anno in cui era iniziata la sanguinosa rivoluzione messicana) e muore nella sua città natale nel 1954. Le cause della morte non sono ben chiare: “Sono pronta. Aspetto felice la partenza e spero di non tornare mai più”. Le sue ceneri sono conservate nella sua Casa Azul, oggi sede del “Museo Frida Kahlo” aperto al pubblico dal 1958. La sua vita è stata molto travagliata sia per quanto riguarda la salute che i rapporti famigliari ed amorosi. Fin da ragazza soffriva di forti dolori alla schiena, problemi articolari e la sua gamba destra era meno sviluppata. A peggiorare la situazione un incidente nel settembre 1925: Frida aveva 18 anni quando, durante il tragitto su un autobus di legno all’uscita della scuola, lo scontro con un tram fu per lei fatale. Le conseguenze furono molto gravi, le si spezzò la colonna vertebrale in più punti e subì molte altre fratture, inoltre un corrimano di ferro, come lei stessa racconta, le si conficco nel ventre trafiggendola da parte a parte. Si deve sottoporre a molte operazioni chirurgiche ed è costretta a letto per molti anni con il busto ingessato che diventa la sua prigione e la sua ispirazione artistica. A causa di questo incidente iniziò a dipingere: “Non sono malata. Sono rotta. Ma sono felice, fintanto che potrò dipingere” è questa una delle sue tante frasi celebri. Proprio le conseguenze di questo incidente influenzeranno la sua pittura. Molto importante fu l’incontro con Diego Rivera (1886-1957) con il quale convolò a nozze nel 1929. Fù un amore durato venticinque anni al quale non mancarono tradimenti da parte di entrambi e persino un anno di divorzio; “Ho avuto due gravi incidenti della mia vita. Il primo fu quando un tram mi mise al tappeto, l’altro fu Diego”. Frida ebbe varie relazioni e tra le più degne di nota ricordiamo quella con  Trockij (rivoluzionario russo capofila del movimento bolscevico, fondatore dell’armata rossa costretto all’esilio in Messico dove venne assassinato), Nickolas Muray (fotografo con il quale avrà una intensa storia che durerà dieci anni, nel corso dei quali le scatterà molte fotografie, degna di nota “Frida con rebozo magenta” del 1939) e la bella Tina Modotti (militante comunista, fotografa e attrice italiana nata a Udine nel 1896 che in Messico lavorerà molto con Eduard Weston, fotografo statunitense che ritrae il popolo messicano, con cui ebbe anche una relazione sentimentale e incontrerà esponenti radicali comunisti tra i quali il triestino Vittorio Vidali). La pittura di Frida Kahlo è considerata una commistione di simbolismo e realismo magico (quest’ultimo definito con una poetica in cui sono combinati l’elemento magico, surrealista e la rappresentazione realista). Si ottiene un’esatta descrizione della realtà con tutti i dettagli ma sono inseriti degli elementi magici, anche questi descritti in modo realistico, che hanno come conseguenza un effetto di “straniamento”. L’autrice nel 1953 nella sua autobiografia scrive: “Pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni”. E’ un mondo, fatto di visioni oniriche e fantasia, che si interseca con quello della realtà. E’ un’arte sincera, che guarda ad una dimensione interiore descivendo emozioni umane profonde: passione, amore, sessualità, dolore, paura, solitudine. E’ un’arte di comunicazione dei dolori individuali che esprimono sentimenti universali dell’animo umano. Nel periodo immediatamente successivo all’incidente, in cui fu costretta all’immobilità, attraveso l’uso di un letto a baldacchino e di uno specchio, Frida incomincia a dipingere prediligendo gli autoritratti ma anche le decorazioni dei suoi busti in gesso. In tutta la sua pittura vengono raffigurati gli aspetti drammatici dell’incidente e la rappresentazione del suo corpo martoriato. Ci sono alcuni simboli, metafore, spesso ricorrenti come il cuore, che rappresenta la sofferenza, le corone di spine poste attorno al collo che indicano la negazione della libertà, i feti dei suoi aborti. L’albero con le radici per sottolineare l’attaccamento alla sua terra. Non mancano le cicatrici delle sue ferite, le bende, le lacrime, le apparecchiature ortopediche che ha dovuto portare nel corso degli anni e gli animali, in particolare le scimmie, che lei tiene in casa. Allo stesso tempo ritroviamo nelle sue tele tutti i colori, forti ed intensi, nonchè gli abiti tehuana della tradizione messicana (ella usa questo escamotage per raccontare il suo popolo attraverso la sua arte). Per citare alcune delle sue famose opere ricordiamo: “Frida e Diego” (1931), “Il letto volante” (1932), “Le due Frida” (1939), “Il sogno” (1940), “La colonna spezzata” (dove si dipinge con una colonna romana fratturata per ricordare la sua spina dorsale, del 1944), “Senza speranza” (1945), “Il piccolo cervo” (1946), “L’abbraccio amorevole dell’universo, la terra, Diego, io e il signor Xoloti” (1949)” e un elevato numero di autoritratti fatti durante il corso degli anni nei quali soprattutto lo sguardo profondo e i suoi occhi scuri rapiscono e incantano lo spettatore.
La colonna spezzata
(1944)
(1953)

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