Scrivere circa il significato dei termini vedere, guardare e comunicare
è impresa tutt’altro che semplice, considerato il fatto che se ne scrive e se
ne parla molto. La mia breve e semplice analisi ha inizio con una citazione
tratta dal libro “Vita e morte
dell’immagine” di R. Debray: “Una
catena di parole ha un senso, una sequenza d’immagini ne ha mille. Una parola
può avere un doppio o un triplo fondo, ma le sue ambivalenze sono reperibili in
un dizionario, esaustivamente numerabili: si può andare a capo dell’enigma.
Un’immagine è per sempre e definitivamente enigmatica. Ha tante versioni
potenziali quanti esseri umani, di cui nessuna può costituire autorità, e
quella dell’autore non più di qualsiasi altra. Polisemìa inesauribile. Non si
può fare ad un testo tutto quello che si vuole, ad un’immagine si”. Per
verificare quest’affermazione - soffermandomi esclusivamente sulla molteplicità
di significato che possiamo attribuire ad un’immagine - pensiamo ad una
fotografia o un quadro. Che sentimenti suscita in noi, cosa ricorda? Cosa vuole
dire l’autore? Cosa comunica? “Cosa
vediamo quando guardiamo”? Questa è la domanda principale che dobbiamo
porci quando siamo difronte ad un’opera che faccia parte delle arti visive, qualsiasi essa sia:
dipinto, fotografia, scultura, anche un’installazione ed ogni forma artistica che
abbia a che fare con un soggetto visibile. Vedere e guardare (come i termini sentire
ed ascoltare, conoscere e sapere) sono, secondo il dizionario, due sinonimi e pertanto
spesso utilizzati in modo intercambiabile, l’uno vale l’altro. E’ difficile
comprenderne le differenze e le somiglianze tanto che esistono varie scuole di
pensiero. Innanzitutto, cercando sul dizionario la definizione di “sinonimo” si
trova: “si dice di parola che ha
sostanzialmente lo stesso significato di una o più parole, anche se presenta
differenti sfumature e ha un diverso uso stilistico ed espressivo”. Pensando al
termine “vedere” (dal latino videre) viene in mente la vista che presuppone
l’uso degli organi di senso, gli occhi (che fanno parte dell’apparato detto visivo),
per mezzo dei quali si percepisce il mondo esterno. Significa percepire con gli occhi, cogliere con la
facoltà della vista. In prima istanza un atto meccanico per cui basta avere gli occhi
aperti ed una sufficiente illuminazione. Ma lo stesso termine vuole anche dire:
rendersi conto, prendere coscienza, riconoscere, comprendere, rendersi responsabili.
Si parla di non vedente o ipovedente
per una persona cieca o con specifiche patologie. Di terzo occhio (noto anche
come occhio interiore) quando si vuole indicare la capacità di percepire realtà
invisibili che vanno oltre la visione ordinaria. Allo stesso tempo è radice
della parola “visionario” ossia una persona che ha delle visioni, delle allucinazioni,
un sognatore, colui che immagina ed elabora, quindi chi con la visione va
oltre. Nel linguaggio della critica d’arte si parla di pittura o arte
visionaria per qualificare opere figurative prodotte da artisti, per lo più
autodidatti, schizofrenici o comunque affetti da disturbi psichici (un esempio
Vincent van Gogh). Ma anche artisti particolarmente dotati, dalle capacità di
creare situazioni ed immagini fantastiche, irreali e di forte impatto visivo,
quindi autori di talento (un nome su tutti: Salvador Dalì). Nell’analisi del termine
non si può non considerare la fisiologia della visione. L’immagine reale, quella del
nostro campo visivo, viene proiettata - attraverso il cristallino che la
capovolge e rimpicciolisce - sulla retina, il tessuto dalla struttura complessa
ed altamente specializzata, in cui sono localizzati coni e bastoncelli (neuroni
fotosensibili) che catturano e trasformano il segnale luminoso proveniente
dall’esterno in segnale chimico-elettrico (Reazione detta foto-trasduzione. L’immagine
viene destrutturata). In seguito il nervo ottico lo trasmette al cervello, nella
corteccia visiva. Questi primi meccanismi, uniti all’esperienza consolidata nel
nostro cervello, permettono di separare la figura dallo sfondo e dal contorno, vengono
interpretati colori, forma, movimento e cosi vediamo quello che c’è nel nostro
campo visivo (seguendo le leggi ben spiegate dalla teoria della Gestalt). Si
dice che il nostro sistema sensoriale è creativo (Cit. da “L’età
dell’inconscio” di E. Kandel). Il termine visione indica anche una percezione interiore,
inconscia, dettata dalla nostra memoria e dall’empatia. In effetti, nella
corteccia celebrale esiste una percezione visiva di ordine superiore (che anche
S. Freud aveva ipotizzato): il cervello elabora le immagini e tale processo è
composto da due parti, due livelli. Quello iniziale si basa sui primi stadi del
sistema visivo ed è fondamentalmente uguale per tutti gli osservatori di una
stessa opera d’arte, a parità di condizioni fisiologiche. Al contrario il
secondo si basa su meccanismi che assegnano categorie e significati e sulla conoscenza
precedente, conservata come memoria in specifiche regioni del cervello
(ippocampo e lobo temporale), seguendo un’elaborazione unica per ciascun
osservatore che potrà essere differente in tempi diversi. Questo perché
l’aspetto più notevole della nostra percezione visiva è che la maggior parte di
ciò che vediamo (nei volti, nei corpi e nelle mani delle altre persone) è determinato
da processi che operano indipendentemente dallo schema luminoso che colpisce la
nostra retina. E’ il lavoro di elaborazione visiva di alto livello ad integrare
le due parti unendo i riferimenti alla memoria (fondamentale per la risposta
percettiva ed emotiva dell’osservatore all’arte) confrontando l’informazione
visiva in arrivo e le esperienze precedenti. In questo modo un’immagine sarà
caratterizzata dal “vedere” personale. La parola “guardare” è una fase avanzata del “vedere”. Significa stare in
guardia (deriva dal francone wardon),
esaminare, osservare per giudicare, esercitare le facoltà
visive razionalmente e non inconsciamente come quando vediamo. E’ un meccanismo
che prescinde dal percepire stimoli esterni attraverso l’organo della vista ed
è determinato da curiosità, ragionamenti,
esperienze, emozioni, sensibilità, cultura e dal contesto storico-sociale nel
quale ci troviamo. Tutti ne abbiamo la capacità ma dobbiamo svilupparla ed
esercitarla. "Tu non fai una fotografia solo con la macchina
fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri
che hai letto, la musica che hai sentito e le persone che hai amato" (Ansel
Adams). Philippe Daverio nel suo libro “Guardar lontano, veder vicino” afferma “personalmente ho imparato a guardare le
opere d’arte da ragazzo perché mi capitava di vederle”. Partendo dal vedere
e passando attraverso il guardare si arriva al “comunicare”. Un’opera d’arte è caratterizzata da tre parti fondamentali. La
forma ossia la tecnica usata che
viene determinata dall’autore e sarà uguale per ogni osservatore. Il soggetto che indica il tema affrontato,
in cui troviamo quello che raffigura o rappresenta l’opera ed il suo contesto;
anch’esso guidato dalla scelta dell’artista. Infine il contenuto cioè il concetto, quello che comunica, che è individuale e
conseguenza del nostro “vedere” e “guardare”. Pertanto un’opera d’arte esprime
il pensiero dell’autore ma anche quello che noi riusciamo a recepire prima
inconsciamente e poi razionalmente analizzando l’opera, le emozioni e le
riflessioni che suscita in noi. Il verbo comunicare è molto importante perché
l’uomo da sempre ha cercato di farlo con i suoi simili per lasciare una traccia di sé. Deriva dal latino cum (con) e munire (legare) e da communico
ossia mettere in comune, in comunicazione, far partecipe. Indica il processo di
trasmissione di un’informazione attraverso lo scambio di un messaggio elaborato
secondo le regole di un determinato codice che deve avere una comprensibile
rappresentazione delle cose, dei simboli e dei segni. Il primo esempio di
comunicazione per immagini lo troviamo a partire dall’uomo delle caverne, con
le pitture rupestri, e avanzando lungo il sentiero della storia si scopre come
in tutte le epoche l’essere umano abbia utilizzato l’arte visiva per tale
esigenza, come espressione e memoria cambiando, nel corso dei secoli, la forma,
il soggetto ed il contenuto. Col passare del tempo si modifica anche la stessa
definizione di artista. Un importante passo verso il cambiamento arriva a metà del 1800 con la nascita dell’artista impegnato. Questa nuova figura deve
la sua origine al pittore francese Gustave Courbet (e il quadro “Funerale a Ornans” 1849-1850, Musée
d’Orsay Parigi) che ha segnato l’inizio della storia dell’arte moderna e che modifica completamente il modo di
fare pittura. Qualche decennio prima di questa data c’è un altro importante
avvenimento. Il mondo dell’arte figurativa è rivoluzionato quando nel 1839 assistiamo alla nascita ufficiale e alla diffusione della fotografia (la
cui storia inizia prima e cui dedicherò una serie dettagliata di post). La sua invenzione avviene in un momento
storico ben preciso, vale a dire nel momento in cui l’uomo ha percepito
l’esigenza di documentare la realtà in modo più rapido e più semplice di quanto
non si potesse fare con la pittura. Ma se inizialmente l’unico vero compito
della fotografia era quello di “copiare” in modo preciso la realtà, attraverso strumenti tecnici, diventa a poco a poco, un mezzo di comunicazione e di espressione, fino ad
essere definita Arte. Per mezzo dei sempre più frenetici stimoli esterni, in
continuo aumento, l’arte subisce trasformazioni ed evoluzioni e con essa evolve
anche il nostro modo di vedere e di guardare e dunque di comunicare che deve
necessariamente adeguarsi ai tempi; come sostiene Bruno Munari “L'arte è ricerca continua,
assimilazione delle esperienze passate, aggiunta di esperienze nuove, nelle
forma, nel contenuto, nella materia, nella tecnica, nei mezzi”.
Un viaggio che desidera riflettere su un periodo artistico affascinante, ricco di cambiamenti e rivoluzioni, che va dalla metà del 1800 ai giorni nostri. Verranno considerati movimenti artistici, personaggi, opere, libri e mostre. Un percorso che cercherà di descrivere il contesto storico, le caratteristiche tecniche, le emozioni ed i sentimenti che un'opera d'arte svela e rivela. Un viaggio che ha come particolari interessi pittura e fotografia.
sabato 23 settembre 2017
Riflessioni circa il significato dei termini vedere e guardare.
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Argomento molto importante e articolo ottimo. Anche se è qui sottinteso, è importantissimo notare che per decodificare gli stimoli elettrici che arrivano al cervello occorre una MENTE, una mente PENSA, ha una COSCIENZA, e usa la sua ESPERIENZA. La differenza fondamentale trea vedere e guardare è che è la MENTE ISTINTUALE (o Sé Istintivo), che è inconscia e SEMPRE, SEMPRE, SEMPRE sveglia e attenta; chi guarda invece è l'IO COSCIENTE, o mente conscia, che spesso.... dorme anche quando crediamo di essere svegli.
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