Siamo alla fine della
seconda guerra mondiale e se fino a questo momento le avanguardie storiche e in
ultimo l’astrattismo hanno creato un punto di rottura con il passato, parlando
di arte ad esse successiva si assiste al definitivo allontanamento dall’arte
classica. Da ora in poi si devono prendere in considerazione alcuni importanti
aspetti nell’arte. Innanzitutto l’Europa e Parigi, che sono state la capitale
mondiale dell’arte moderna, perdono questo primato e l’arte sposta il suo
centro in America, a New York. La seconda caratteristica è la definitiva
rottura con il passato ed il fatto che terminologia e ed il metro di giudizio
usati fino a qui devono cambiare. Infine si deve considerare l’entrata in scena
del mercato dell’arte. Inizia il momento dell’arte informale ossia una serie di
esperienze artistiche contrarie alla “forma”. Cosa sono le forme? Nella realtà (visibile e tattile) è
forma tutto ciò che ha un contorno, con il quale un oggetto o un soggetto si differenzia
dalla realtà circostante, e nel quale si definiscono le sue caratteristiche.
Anche l’arte astratta, soprattutto nelle sue correnti più geometriche, si
costruisce per organizzazione di forme. L’informale,
rifiutando il concetto di forma, si differenzia dalla stessa arte astratta,
costituendone un’evoluzione.
ARTE MATERICA: i suoi protagonosti principali sono
Jean Dubuffet (1901-1985), Alberto Burri (1915-1995) e Antoni Tapies
(1923-2012). E’ il 1943, lo stesso anno in cui in America nasce l’action
painting (vedi Jackson Pollock), quando in Europa (Francia, Italia, Spagna)
emerge l’informale materico. Attraverso l’utilizzo di materiali che vengono
inseriti nel dipinto, e che emergono dalla superficie del quadro, si rompe il
confine tra pittura e scultura, tra immagine bidimensionale e immagine
tridimensionale. In particolare Burri sfrutta materiali poveri, spesso di
scarto, quali legni, vecchi sacchi di juta, plastica, catrame, ferro, terra,
cemento, sabbia, colla, carta e colori acrilici. Le caratteristiche dell’arte
materica sono, oltre all’utilizzo di materiali di vario genere, la mancanza
della forma, che la annovera appunto come arte facente parte dell’informale.
Molto importante è il gesto artistico, ossia il vedere l’artista all’opera e
l’osservare come gli elementi usati possono cambiare forma e colore; in
relazione a questo è importante la scelta, scelta che diventa essa stessa atto
artistico (viene ripresa in questo caso la “lezione duchampiana”). Relazione
tra materiale e forma ossia le modifiche e le trasformazioni, difficili da
controllare e spesso incontrollabili, alle quali artista e fruitore assistono
durante e dopo la creazione dell’opera. Oltre alla vista, in queste opere,
partecipano anche altri sensi come l’olfatto e il tatto e intervengono la
chimica e la fisica dei materiali. Un sacco o un pezzo di plastica che vengono
bruciati con una fiamma ossidrica, per esempio, cambiano forma, colore, odore.
L’opera d’arte è mutevole e in quanto tale è viva. Alberto Burri, di origine
Umbra, porta avanti la sua ricerca e la sua sperimentazione con la materia e le
sue opere parlano di dolore, raccontano di ferite, mostrano la brutalità della
guerra e descrivono l’aridità fisica e mentale. Dal 1950 al 1955 circa si
dedica ai “sacchi”: alla tela, normalmente dipinta uniformemente di rosso o di
nero, sono incollati dei sacchi di juta rotti, strappati, ricuciti e sporchi,
sacchi che non sono modificati per assumere queste caratteristiche ma che sono
stati trovati così dall’artista stesso, sono reali, ad evidenziare la storia
vissuta da questi oggetti che non dovevano essere belli ma usati per il lavoro.
In questo si discosta da Duchamp, l’oggetto infatti, non serve per dissacrare
l’arte ma serve come denuncia e polemica nei confronti della società. In questo
percorso artistico Burri utilizzerà anche indumenti, sempre con le stesse
caratteristiche e lo stesso scopo.
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A. Burri Sacco e rosso (1954) |
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A. Burri Grande rosso P. n.18 (1964) |
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A. Burri Cretto di Gibellina |
Tali oggetti usati e logorati rappresentano
i resti dell’esistenza umana, rappresentano quello che resta dopo la lotta,
dopo i campi di concentramento, rappresentano i relitti umani, i lavori umili e
la miseria, le macerie e la tragedia dopo la brutalità della guerra. Un esempio
è “Sacco e rosso” (1954). Dal 1957 si dedica alle “combustioni” che
rappresentano un intervento sulla materia più radicale e aggressivo rispetto ai
precedenti strappi e buchi. Attraverso la fiamma ossidrica Burri brucia legno,
sacchi e soprattutto la plastica. Un esempio è “Grande rosso P. n. 18” (1964).
Con la plastica il carattere drammatico delle sue opere si fa ancora più forte.
Questo materiale è molto reattivo nei confronti del fuoco si scioglie
velocemente, cola, si contrae, lascia dei residui e tutto questo ha come
conseguenza la creazione di forme, d’increspature e di buchi che non sono
facili da controllare e si basano su un evento casuale che però ha un
significato. Le voragini che si formano aprono la superficie e permettono di
vedere oltre il piano della tela, il corrugarsi della plastica dona un effetto tridimensionale
e queste caratteristiche creano una percezione spaziale. Altro lavoro importante riguarda la serie dei
“cretti” prodotta intorno agli anni 1980-1990. Utilizzando il cellotex, un
materiale povero, di uso industriale costituito da particelle di segatura e
colla pressate, unito a vinavil, pigmento e caolino, Burri crea delle superfici
che una volta asciutte hanno la proprietà di creparsi assumendo le
caratteristiche della terra incolta e arsa, essiccata dal sole e dalla mancanza
di acqua. Un esempio è “Bianco cretto C1” (1973).
SPAZIALISMO: i principali esponenti sono Lucio
Fontana (1899-1968) e Mark Rothko (1903-1970). Lo spazialismo nasce nel 1946
con il “manifesto blanco” scritto da Lucio Fontana, che in questo documento
esprime la sua poetica. Seguiranno altri sette manifesti, l’ultimo nel 1958 in
una sua importante personale alla XXIX Biennale di Venezia. Nato nel 1899, a Rosario
de Santa Fé in Argentina, studia in Italia e si iscrive all’Accademia di belle
arti di Brera a Milano. Il suo percorso artistico è molto complesso ed essendo
Fontana un bravo scultore, ceramista e pittore, nel corso della sua carriera
elabora diversi progetti. Da sempre interessato al superamento della figura e
del disegno. Una delle sue prime opere risale al 1930 e rappresenta una
struttura in gesso con un carattere figurativo dal titolo “L’uomo nero”; questa
sagoma, ricoperta di catrame, dalla quale è appena riconoscibile un uomo
seduto, allude alla condizione originaria dell’umanità. Nel 1946 a Buenos Aires
la svolta non figurativa e nel 1947 la stesura del primo manifesto dello
spazialismo. Con il passare degli anni e di diversi manifesti si passa da un
concetto spaziale in cui sono previste forma e materia plastica,
all’allontanamento dalla pittura e dalla scultura, in favore dell’utilizzo di
nuove risorse e nuove tecniche. Si passa così alla serie dei “buchi”
(1949-1952) “io buco questa tela, che era
alla base di tutte le arti e ho creato una dimensione infinita” afferma
Fontana. Seguono altre serie che prevedono l’utilizzo di pietre, di gessi, di
inchiostro, di metallo, fino ad arrivare al 1958 quando inizia la serie che lo
ha reso celebre, quella dei “tagli” a cui viene dato l’appellativo di “Attese”.
Attraverso queste tele monocromatiche o bianche, con uno o più taglia l’artista
compie un gesto netto e violento che permette di andare oltre la superficie
della tela, oltre i suoi limiti, si supera infatti la bidimesionalità della
tela creando una continuità tra lo spazio che sta davanti e quello che sta
dietro. Si crea la tridimensionalità della tela, si cerca il realismo della
pittura. Con il taglio, passa la luce, la tela si ripiega e si vede il nero che
sta dietro. Con l’opera “Ambiente spaziale, Attese” del 1966 realizzato in
occasione della XXXIII Biennale di Venezia, Fontana riceve il riconoscimento
internazionale per avere contribuito allo sviluppo dell’arte contemporanea.
Morirà nel 1968 a Varese.
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L. Fontana serie "Le attese" |
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L. Fontana L'uomo nero (1930) |
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M. Rothko |
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M.Rothko |
In maniera del tutto
diversa anche Mark Rothko fa parte
dello spazialismo. Pittore statunitense nato in Lettonia, soffre di depressione
e muore suicida nel 1970 nel suo studio di New York. Le sue tele, sempre di
grandi dimensioni, non esprimono azione ed impeto ma sono caratterizzate
dall’assenza di forma e, ricorrendo alla stesura di colori che prevedono
sottili e quasi impercettibili variazioni tonali, rappresentano la ricerca di
uno spazio che va oltre quello naturale, attraverso un lavoro spirituale e
malinconico. Abbandonato il figurativo gli stacchi di colore sono dapprima
netti e poi via via sempre più sfumati, più sfuocati. La sua ricerca era quella
di riuscire a fare sparire la mano dell’artista dall’opera e così anche i
colori usati cambiano nel tempo e verso la fine della sua carriera predilige le
tonalità del marrone e poi il nero, fino alla completa sparizione dell’uomo,
fino alla sua assenza, identificata con l’assenza di colori luminosi. Un
esempio di sua opera è “Arancione, marrone” (1963). Le sue opere sono presenti
in tutto il mondo ed una importante è stata completata nel 1971, dopo la sua
morte, a Houston in Texas. Si tratta della “Cappella Rothko”. Dal punto di vista architettonico è un edificio di forma
ottagonale, a forma di croce greca, fatto di mattoni, con un lucernaio a luce
diffusa, arredato con otto semplici panche. Il nome deriva dal fatto che alle
pareti ci sono 14 dipinti neri con sfumature realizzati dallo stesso artista,
il quale ha anche influenzato la scelta della forma e del design della
struttura.
ARTE SEGNICO GESTUALE: o informale o Tachismo (tachisme è
un vocabolo francese che deriva da tache ossia macchia, inoltre l’etimologia
della parola deriva dal greco tachýs ossia veloce, rapido). Sia macchia che
velocità sono due terminologie ricorrenti, due caratteristiche, di quest’arte.
Altre parole chiave sono collegate con la pittura orientale e la dottrina zen,
che ne influenzano fortemente il segno e il gesto (gesto fluido, ricerca
gestuale e di segno, semplicità, senso di vuoto). I nomi dei principali artisti
in Francia sono Wols nome d’arte di Alfred
Otto Wolfgang Schulze (1913-1951), Georges Mathieu (1921-12012) e Hans
Hartung (1904-1989). In Italia tra gli altri emergono la figura di Giuseppe
Capogrossi (1900-1972) e Emilio Vedova (1919-2006) mentre negli Stati Uniti
Mark Tobey (1890-1976), Franz Kline (1910-1962), Willem de Kooning (1904-1997)
e il già nominato (vedi altro post) Jackson Pollock (1912-1956).
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G. Capogrossi |
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H. hartung |