C'è una donna (tra le molte)
che ha un ruolo importante in fotografia. Si tratta di Francesca Woodman. Nasce
a Denver il 3 aprile 1958 e muore suicida a New York il 19 gennaio 1981... Bella. Enigmatica
ed inquieta. Fragile e tormentata. Benchè breve, la sua vita artistica è stata intensa. Da sempre ha vissuto
in un ambiente ricco di stimoli artistici essendo il padre un pittore e la madre
una ceramista. Viaggia: parte da Denver per muoversi tra Firenze, Andover, la
Provenza, Roma ed infine New York. La sua ultima meta. Studia alla Abbot
Accademy e frequenta la Rhode Island School of Design. Già da adolescente si
avvicina alla fotografia e da allora ha iniziato ad utilizzare questo strumento
come mezzo atto non a documentare la realtà ma per esplorare gli aspetti
interiori di se stessa. Fotografia che diventa specchio delle sue emozioni. Le
sue opere, in bianco e nero, sono autoritratti introspettivi, onirici, simbolici,
surreali, metafisici, evocativi, intimi, malinconici e delicati. Le ambientazioni, quasi sempre interni di una
stanza fatiscente (vari anche gli scatti ambientati in mezzo alla natura), sono
essenziali e desolati, poche o assenti le suppellettili. Fondamentale la luce,
sempre quella naturale. Locali quasi completamente vuoti ed abbandonati.
Dimenticati, ma con la sua presenza riscoperti. Un po’ come ricordi che parlano
dell’esistenza e della storia di una persona. In fondo che cos’è la fotografia
se non una forma di memoria, un espediente “visivo-narrativo” per dare
concretezza ad un pensiero? Il suo corpo, spesso completamente nudo, subisce
metamorfosi e si confonde con ciò che lo circonda. Lo rende camaleontico,
difficilmente visibile. Ma sempre presente, tracciabile. Corpo fragile,
indifeso. Corpo leggero e volteggiante. Corpo pesante. Corpo quasi in volo o
disteso sul pavimento. Corpo raggomitolato. A volte indossa vestiti (lunghi
abiti neri, camice bianche, scarpe). Il volto coperto, sfuocato o tagliato
dall’inquadratura, in molti dei suoi autoritratti. Capelli sciolti o dolcemente
raccolti. Vari oggetti. Mobili. Sedie. Porte e finestre. Muri. Calcinacci. Cocci.
Animali. Teche. Reggicalze. Mollette. Il cavo per l’autoscatto. Ombre. Una
calla. Specchi. Questa fotografa usa l’autoritratto e lo specchio non perché affetta
da narcisismo, non per vanità, ma perché, diventando lei stessa la protagonista
principale, il soggetto-oggetto del suo linguaggio monocromatico, vuole auto-analizzarsi.
Conoscersi. Indagare la sua anima, il suo Io, la sua identità e le sue emozioni
profonde, le sue paure. Quelle che la tormentano. Quelle dalle quali vorrebbe
liberarsi e guarirsi. Dicevamo
fondamentale, nel suo processo creativo, la luce, lo studio della scena e
l’inquadratura. Usava in gran parte esposizioni lunghe oppure la doppia
esposizione. Importante lo sfuocato ed il mosso. Molte delle foto sono di
piccole dimensioni e di formato quadrato che ben descrive la sua ricerca
introspettiva. In effetti, il quadrato è una forma equilibrata e permette di
concentrarsi sul soggetto, essendo stabile per l’occhio. Lo stesso soggetto, ripreso su formati dalle proporzioni
differenti, assumerà diversi significati ed una diversa forza espressiva. Il quadrato
ci colpisce, cattura la nostra attenzione. Evidenzia quello che viene messo in
primo piano ma esalta anche lo sfondo. Sfugge alle regole di
composizione, in particolare la regola dei terzi, mentre sembrano essere
importanti alcuni elementi che sono: la semplicità, la forma e lo spazio. Necessari
e da rispettare sempre, sono ancor più importanti in questo caso. Il quadrato poiché simmetrico ci trasmette staticità ossia calma. Ma se inseriamo soggetti in
movimento li accentua. Ed è quello che accade nelle fotografie di quest’arista.
Un esempio è dato dall’opera dal titolo "Self-deceit #1". Letteralmente la traduzione vuol dire autoinganno,
illusione. E’ stata scattata durante il suo soggiorno a Roma nel 1978. Un
sottile bordo bianco a far da cornice. A destra l’immagine è semplice: il muro
grezzo ed il pavimento, dove si vede un’ombra scura. Guardando a sinistra lo
spettatore resta incuriosito perché dietro l’angolo del muro s’intravede una
parte della stanza che è buia e da qui, a carponi, sbuca lei, con fare felino. La
sua figura è lievemente mossa. Non si vedono le gambe, che s’intuisce siano
piegate. E in parte in penombra ed in parte alla luce che colpisce il centro
dell’immagine dove è posizionato un vecchio specchio rotto addossato al muro.
E’ nuda, i capelli raccolti con una treccia. Il volto è girato e si mostra allo
spettatore solo attraverso la figura riflessa. Attraverso lo specchio vediamo una
parte delle dita della mano destra riconoscibile, anche se un po’ distorta,
dall’anello che indossa nell’indice. E poi la spalla, il braccio sinistro ed il
suo viso che non è nitido, ma comunque ben visibile. Gli occhi socchiusi sono
rivolti verso il basso. Sempre attraverso lo specchio s’intravede parte della
stanza che è ben illuminata. Si scorge la presenza di una sedia e di un muro
bianco. Soggetto simile lo troviamo in un’altra fotografia senza titolo "Untitled" scattata a Providence nel
1976. Anche qui, al centro, uno specchio ed il riflesso della protagonista. L’inquadratura
riprende lo specchio posato sul pavimento con la parte riflettente rivolta
verso l’alto. E’ incorniciato da un bordo di legno su cui si vedono i segni del
tempo. Un angolo è coperto da una spessa coperta in lana. Anche il pavimento è
in legno e vi sono posati, un po’ in disparte, un cucchiaino piegato, il gancio
di una gruccia, polvere e frammenti; si intravede lo spigolo di un pannello
bianco, non si capisce cos’è. Il muro retrostante, che fa da sfondo, è bianco e
rovinato. Scorgiamo il bordo di un vestito appeso che si riflette sullo
specchio dove in ginocchio c’è lei. Le gambe bianche sono lievemente aperte. Si
muove e pertanto il suo corpo e il suo volto non sono definiti. Ma grazie alla
doppia esposizione il suo riflesso è più nitido. La si vede rovesciata, dal
basso, dove la sua mano aperta le copre il pube. Lei si vede e non si vede,
scompare e riappare… immagine eterea, impalpabile. Una presenza. Come il suo,
nostro inconscio. Luogo dove tutto c’è ma è oscuro e non si vede facilmente…
Post collegato con la tematica dello specchio.
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Untitled Providence Rhode Island
(1976) |
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Self deceit #1 Roma (1978) |
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From Space (1976) |
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Self portrait. Untitled (1977-1978)
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